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Presidente: Dott. Andrea Castaldo
Segretario: Roberto Gaetano

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    Commissione Luiso, note illustrative e proposte    

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
UFFICIO LEGISLATIVO
Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumento alternativi
(Pres. Prof. Francesco Paolo LUISO)

PROPOSTE NORMATIVE
E
NOTE ILLUSTRATIVE

INDICE

I - PRESENTAZIONE

Ill.ma Sig.ra Ministra della giustizia
Prof.ssa Marta Cartabia
Ministero della Giustizia
Sede
Lucca, 24 maggio 2021

Signora Ministra,
in conformità al decreto ministeriale 12 marzo 2021, con il quale è stata costituita presso l’Ufficio Legislativo del Ministero della giustizia la Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti allo stesso alternativi, Le rassegno la presente relazione unitamente all’articolato contenente le proposte approvate dalla Commissione, frutto dell’impegno profuso da tutti i relativi componenti, nonché del prezioso ausilio dei componenti del Comitato scientifico e dei funzionari dell’Ufficio Legislativo.

* * *

§ 1. Il decreto di nomina affida alla Commissione il compito di proporre interventi in materia di processo civile e di strumenti alternativi, al fine di ridurre i tempi dei processi e ottenere una miglior efficienza dell’amministrazione della giustizia.

Nell’adempimento del compito affidatole, la Commissione è partita dall’individuazione di quali siano le funzioni che non sono costituzionalmente proprie della magistratura, per individuare possibili aree in cui gli interventi, attualmente affidati alla magistratura, possano essere deferiti ad altri soggetti, liberando quindi la magistratura da compiti non necessari.

In questa ottica, è assorbente la considerazione che solo la giurisdizione contenziosa o, secondo altra formula, dichiarativa, non può ex articolo 102 Cost. essere assegnata a soggetti diversi dalla magistratura

Al contrario, la tutela esecutiva ben può essere espletata anche dalla Pubblica Amministrazione – come dimostrano alcune procedure concorsuali attualmente esistenti – ferma rimanendo ovviamente la possibilità di rivolgersi alla giurisdizione contenziosa ove, nel corso del processo esecutivo, sorgano contestazioni relative alle attività ivi compiute. In questa direzione si è proposto di consentire al giudice dell’espropriazione immobiliare l’affidamento al delegato alla vendita di compiti ulteriori, analoghi a quelli che caratterizzano il curatore delle procedure concorsuali. Si è poi previsto che il giudice dell’esecuzione possa concedere la tutela esecutiva ex articolo 614-bis c.p.c., laddove il titolo esecutivo non sia un provvedimento di condanna. Sul punto ritorneremo nel § 4.

Analoga considerazione riguarda la giurisdizione volontaria, che solo per ragioni di opportunità è affidata alla magistratura. In questa direzione, si è proposta una norma di legge delega volta a trasferire alle amministrazioni interessate o ai notai le funzioni di volontaria giurisdizione, attualmente assegnate al giudice civile e al giudice minorile, se prive di collegamento con l’esercizio della giurisdizione..

§ 2. Nel quadro di una compiuta riforma della giustizia, non è possibile prescindere dai profili strettamente organizzativi. In questa prospettiva, l’ufficio per il processo costituisce un tassello fondamentale per aiutare il giudice che dovrà poi decidere la controversia a svolgere in modo più efficiente tutto il lavoro preparatorio alla decisione stessa. Si tratta, come dice lo stesso nome, dell’ufficio “per il processo” e non dell’ufficio “del giudice”, denominazione che evoca una impropria funzione di “assistente”, figura che non esiste più neppure a livello universitario.

Proprio per questa ragione, la Commissione ha stabilito che l’ufficio per il processo sia costituito anche presso le corti di appello e la Corte di cassazione, ovviamente con le caratteristiche consone a questi due diversi gradi di giudizio.

§ 3. Nell’ambito delle funzioni giurisdizionalmente necessarie, la Commissione ha fatto propria la constatazione dell’equivalenza degli effetti, rispetto alla sentenza, del lodo arbitrale (articolo 824-bis c.p.c.) nonché, recuperando principi ben noti fin dal diritto romano e solo nel secolo scorso andati perduti, del contratto volto alla risoluzione della controversia.
Si è quindi rafforzata la appetibilità della via arbitrale, garantendo una maggior affidabilità degli arbitri come decidenti terzi ed imparziali, ed attribuendo all’arbitro – ove così abbiano stabilito le parti – il potere di pronunciare provvedimenti cautelari.
L’altro strumento equivalente, nei suoi effetti, alla giurisdizione contenziosa è l’accordo negoziale, la cui conclusione è favorita dalla mediazione e dalla negoziazione assistita.

Con riferimento alla mediazione, diversi sono i suggerimenti volti sia ad incentivarne l’utilizzazione sia a favorire il raggiungimento dell’accordo. Nella prima direzione vanno gli incentivi fiscali ed economici, l’estensione ragionata delle fattispecie di mediazione obbligatoria e il potenziamento della mediazione demandata dal giudice. Nella seconda direzione la semplificazione della procedura di mediazione e le previsioni volte a favorire la partecipazione ad essa della Pubblica Amministrazione. La negoziazione assistita in materia di famiglia è stata estesa a fattispecie prima irragionevolmente escluse, come ad esempio gli accordi relativi ai figli minori nati fuori dal matrimonio.

§ 4. Passando ora ad esaminare gli interventi relativi al processo civile dichiarativo, la Commissione ha preliminarmente individuato quelli che, a suo avviso, costituiscono i relativi "tempi morti".
Si sono previste, dunque, due ipotesi alternative di modifica della fase iniziale del processo, volte ad evitare che la prima udienza si esaurisca nella concessione dei termini di cui all’articolo 183 c.p.c. Si è poi ristrutturata la fase decisoria, anche in questo caso per evitare passaggi inutili come una udienza finalizzata solo alla precisazione delle conclusioni.
Si è estesa anche al contumace la regola per cui la mancata contestazione rende i fatti allegati dalla controparte non bisognosi di essere provati.

In materia di appello, si è eliminato il meccanismo di cui agli articoli 348-bis ss. c.p.c., stabilendo che le ipotesi di rigetto immediato per manifesta inammissibilità o infondatezza dell’impugnazione siano comunque pronunciate con sentenza ricorribile in Cassazione, eliminando così tutti i problemi processuali che sorgono per la possibilità di impugnare in Cassazione, per vizi suoi propri, l’ordinanza di cui all’articolo 348-ter c.p.c.
Si è poi reintrodotta la figura del consigliere istruttore, prevista del codice di procedura civile del 1942 ed eliminata dalla riforma del 1998, riservando al collegio la decisione, che nel suo iter è stata uniformata a quanto previsto per il giudizio di primo grado.
Infine, è stata introdotta una norma di delega volta a rivedere le fattispecie di rinvio dal giudice di appello al giudice di primo grado.

Gli interventi relativi alla Corte di cassazione hanno riguardato essenzialmente la fusione della sesta sezione nelle sezioni ordinarie, attribuendo a queste ultime i compiti ora previsti per la sesta, evitando quindi il passaggio dalla sesta alla sezione ordinaria, ed unificando così i procedimenti decisori.

L’altra importante novità riguarda l’istituzione del c.d. rinvio pregiudiziale, in virtù del quale si potrà ottenere – a fronte di una questione di diritto nuova, sia di diritto sostanziale che processuale, e suscettibile di riproporsi in numerosi altri casi – una immediata pronuncia della Cassazione, evitando così che si debbano attendere anni prima di avere una linea interpretativa definita su tale questione. Si consideri, ad esempio, che per ottenere una prima sentenza della Cassazione sull’individuazione del soggetto onerato di promuovere la mediazione in sede di opposizione a decreto ingiuntivo sono stati necessari quasi sei anni, e definire patchwork la giurisprudenza di merito medio tempore apparsa è un mero eufemismo.

§ 5. Sono poi state introdotte alcune novità volte ad evitare un superfluo ricorso al processo dichiarativo. Di una di esse si è già trattato nel § 1, ove si è accennato alla possibilità che il giudice dell’esecuzione conceda la tutela esecutiva ex articolo 614-bis c.p.c., laddove il titolo esecutivo non sia un provvedimento di condanna. Nel regime vigente, infatti, essendo la pronuncia di tale provvedimento esecutivo (irrazionalmente) affidata al giudice della cognizione, in presenza di un titolo esecutivo stragiudiziale (ad esempio, un lodo o un accordo negoziale) occorre promuovere un processo dichiarativo al solo fine di ottenere un provvedimento che deve essere ascritto alla giurisdizione esecutiva.
L’altra novità prevista dalla Commissione riguarda l’introduzione di un procedimento sommario non cautelare e senza efficacia di giudicato, al fine di consentire la creazione di un titolo esecutivo anche al di fuori dei casi in cui è utilizzabile il procedimento per ingiunzione.

§ 6. Vi è poi un ultimo intervento, che in realtà costituisce un prius logico e cronologico di tutto quanto sopra, sia pur sommariamente, esposto. I magistrati professionali addetti al civile sono poco più di tremila. Non è possibile immaginare che la giustizia civile di sessanta milioni di persone possa essere affidata ad un magistrato ogni ventimila soggetti.
D’altro canto, è di un’evidenza cartesiana che il collo di bottiglia del processo dichiarativo è la sentenza. Qualunque miglioramento relativo al processo non sarà mai in grado di consentire al tribunale di far fronte alla domanda di giustizia. Occorre, dunque, sgravare il carico dei tribunali aumentando in modo rilevante la competenza dei giudici di pace; ciò che porterà anche ad una diminuzione del carico delle corti di appello.
La Commissione ha quindi suggerito due interventi: uno immediato, volto ad elevare la competenza per valore del giudice di pace; uno affidato ad una norma di delega, volto a stabilire se alcune delle competenze per materia del pretore, trasferite in blocco al tribunale in occasione della riforma del 1998, possano essere assegnate al giudice di pace ovvero tramutate in competenza per valore. Oggi, infatti, siamo in una situazione in virtù della quale una controversia per il pagamento di un canone di locazione di mille euro deve essere proposta al tribunale.

§ 7. Infine, la Commissione, consapevole della situazione caotica relativa alle controversie in materia di persone e famiglia, nonché della mancata sussistenza in sede processuale di quell’uguaglianza dei figli realizzata invece sul piano sostanziale, ha proposto interventi immediati che hanno ad oggetto la razionalizzazione del riparto delle competenze fra tribunale ordinario e tribunale per i minori, incidendo sull’articolo 38 disp. att. c.c., nonché l’istituzione di un controllo giurisdizionale, attualmente assente, sui provvedimenti amministrativi di cui all’articolo 403 c.c.

In una dimensione più generale, si è prevista una delega volta, da un lato, a istituire un procedimento unitario per tutte le controversie in materia di persone e famiglia, sia pur ovviamente differenziato a seconda dell’oggetto del processo (diritti disponibili, diritti indisponibili, interessi del minore o dell’incapace); dall’altro lato, a istituire finalmente quel tribunale per le famiglie che consenta di realizzare, congiuntamente, sia la specializzazione del giudice, sia quella giustizia di prossimità, che in questa materia è irrinunciabile.


II - NOTE ILLUSTRATIVE E PROPOSTE

Sommario: 1. Normativa di riferimento. – 2. Ufficio per il processo presso tribunali e corti di appello (artt. 1-bis e 1- ter). – 2.1. Struttura delle norme. – 2.2. Attività e compiti. – 2.3. Aspetti organizzativi. – 2.4. Destinazione delle risorse finanziarie. – 3. Ufficio per il processo presso la Corte di cassazione e l’Ufficio spoglio, analisi e documentazione della Procura generale presso la Corte di cassazione (artt. 1-quater e 1-quinquies).

L’ufficio per il processo (nel prosieguo, anche “UPP”) trova disciplina in una serie di testi di legge e nella normativa secondaria che costituiscono un panorama particolarmente frastagliato e disomogeneo, in relazione al quale tutte le fonti si occupano di disciplinare l’istituto operante presso i tribunali di primo grado.

Le principali fonti normative che hanno delineato i contorni della struttura sono le seguenti:

  • articolo 16-octies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, così come modificato dall’articolo 50 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114;
  • decreto del Ministro della giustizia 1 ottobre 2015;
  • decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116;
  • articoli 10 e 10-bis della Circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti per il triennio 2017-2019;
  • risoluzione su “[l]’ufficio per il processo oggi: esito del monitoraggio del CSM sulla istituzione e sul funzionamento dell’Ufficio per il processo negli uffici giudiziari: ruolo della magistratura onoraria e diritto transitorio”, approvata dal plenum del Consiglio superiore della magistratura nella seduta del 18 giugno 2018;
  • linee guida del Consiglio superiore della magistratura in data 15 giugno 2019.

La necessità di introdurre una norma specifica all’interno del disegno di legge delega sulla riforma del processo civile nasce dall’obiettivo, per un verso, di implementare gli strumenti di ausilio al giudice nell’esercizio della sua attività giurisdizionale e, per altro verso, di organizzare al meglio e secondo criteri di maggiore razionalità le risorse “complementari” agli uffici giudiziari, perseguendo anche la finalità di valorizzare e stabilizzare l’esperienza che maturerà con le risorse assunte a tempo determinato con i fondi assegnati all’Italia nell’ambito del Piano per la ripresa dell’Europa (c.d. “Recovery plan”).

D’altra parte, le ultime circolari del CSM hanno reso obbligatoria la costituzione degli uffici per il processo in ogni realtà giudiziaria, ma solo per i tribunali.
Da più parti, tuttavia, è stata segnalata l’esigenza che tale struttura venga costituita sia presso le corti d’appello sia presso la Corte di cassazione.

Quanto alla costituzione dell’ufficio per il processo presso le corti d’appello anche con la partecipazione dei giudici ausiliari, la recente sentenza della Corte costituzionale n. 41/2021 ha dichiarato l’incostituzionalità degli “artt. 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71 e 72 del decreto-legge 21 giugno 2013 n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98, nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dall’articolo 32 del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57)”, ritenuti in contrasto con l’articolo 106 Cost. nella parte in cui è stato previsto lo svolgimento di funzioni quali “giudici collegiali presso le corti d’appello, dove i giudici ausiliari sono strutturalmente inseriti” a comporre i collegi e assumere funzioni decisorie. Tale decisione, che ha rinviato gli effetti della declaratoria di incostituzionalità al 31 ottobre 2025, rende ancora più necessario il recupero delle predette professionalità nell’UPP con compiti di ausilio al collegio, al presidente e ai singoli consiglieri, considerato che da tale data i giudici ausiliari non potranno più comporre i collegi né assumere funzioni decisorie.

Inoltre, si propone di integrare l’UPP con ulteriori professionalità, al pari della medesima struttura già operante presso i tribunali, con l’introduzione: dei tirocinanti laureati ai sensi dell’articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98; dei soggetti che hanno completato lo stage ex articolo 37 comma 11 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111; nonché dei neolaureati, anche con titoli di specializzazione post lauream.

2.1. Struttura delle norme
Gli articoli 1-bis e 1-ter contengono indicazioni precise che involgono i profili della composizione, dei compiti e dell’organizzazione dell’ufficio per il processo, recependo e riducendo a sistema il complesso delle norme richiamate e ampliandone la portata in un’ottica di espansione delle funzioni per l’UPP già operante presso i tribunali di primo grado, da estendersi anche alle corti di appello.

Inoltre, la ridefinizione dei compiti dell’UPP consente di prevedere la possibilità che, accanto a figure professionali “tradizionali” previste dalle fonti normative in vigore, venga contemplato l’ingresso nell’ufficio per il processo di personale assunto a tempo determinato con specifiche funzioni di supporto “amministrativo” ovvero che vengano reclutati altri soggetti dotati di competenze specifiche (borsisti e assegnisti di ricerca, neolaureati e specializzati, mediatori, ecc.), a cura dei dirigenti degli uffici attraverso specifiche previsioni tabellari, in attuazione dei criteri indicati dal CSM o con apposite convenzioni da stipularsi con il mondo accademico o professionale.
Per l’UPP operante presso le corti di appello, l’articolo 1-ter prevede che vengano inseriti nella struttura anche i giudici ausiliari, con possibilità di rinnovo alla scadenza del mandato per coloro che, debitamente formati nel corso degli anni, abbiano operato in maniera proficua, previa acquisizione di parere positivo vincolante del presidente della corte d’appello.

2.2. Attività e compiti
Si prevede che, nell’ambito delle rispettive competenze e tenendo conto della specificità degli obiettivi individuati dai dirigenti degli uffici nelle proposte tabellari, ai componenti dell’ufficio per il processo, previa adeguata formazione di carattere teorico-pratico, venga affidato il compito di coadiuvare uno o più giudici ordinari e, sotto la loro direzione e coordinamento, compiere tutti gli atti preparatori utili per l’esercizio della funzione giurisdizionale da parte di questi ultimi. In particolare, nei tribunali, i componenti dell’UPP coadiuvano l’ufficio ove sono assegnati provvedendo:

  1. allo studio dei fascicoli, all’approfondimento giurisprudenziale e dottrinale, alla raccolta e organizzazione dei precedenti in una banca dati aggiornata, alla selezione dei presupposti di mediabilità delle liti, alla predisposizione delle minute dei provvedimenti e, limitatamente ai giudici onorari, all’attività istruttoria loro delegata dal giudice ordinario;
  2. a compiti di natura più propriamente amministrativa, come la verbalizzazione nelle udienze, il monitoraggio dei fascicoli più datati o la verifica delle comunicazioni e delle notifiche ovvero la riorganizzazione dell’agenda del giudice o del collegio.

Nelle corti d’appello, i componenti dell’UPP coadiuvano l’ufficio ove sono assegnati provvedendo:

  1. allo studio dei fascicoli, all’approfondimento giurisprudenziale e dottrinale, alla selezione preliminare delle cause con profili di “serialità” o con presupposti di mediabilità della lite nonché, per cause di minore complessità, alla predisposizione delle minute dei provvedimenti;
  2. alla valorizzazione e la messa a disposizione di precedenti (all’interno, per incrementare la capacità produttiva dell’ufficio e, all’esterno, per perseguire un effetto deflattivo attraverso la diffusione degli orientamenti), con compiti di organizzazione delle decisioni e, in particolare, con la creazione di una “banca dati” dell’ufficio giudiziario di riferimento.

Infine, l’ufficio per il processo fornirà supporto al magistrato nell’accelerazione dei processi di innovazione tecnologica ed organizzativa dell’UPP e del proprio lavoro.

2.3. Aspetti organizzativi
L’ufficio per il processo deve essere costituito quale struttura di staff dell’ufficio giudiziario o delle sue sezioni, con compiti ed obiettivi specifici, avendo cura di impiegare le risorse ivi assegnate per ridurre sensibilmente l’arretrato, definire più rapidamente i procedimenti, nonché velocizzare la risposta di giustizia.

Deve, pertanto, essere valorizzata l’assegnazione dello staff attribuendo al presidente di sezione o a un magistrato da questi delegato compiti di coordinamento delle attività dei singoli componenti dell’UPP, che potranno così coadiuvare il giudice o il consigliere istruttore nell’espletamento delle sue molteplici attività, anche complementari rispetto a quelle propriamente connesse alla giurisdizione.

2.4. Destinazione delle risorse finanziarie
In considerazione dell’importante ruolo di staff di ausilio per l’attività degli uffici giudiziari e della elevata qualificazione che è richiesta ai componenti dell’UPP, al fine di assolvere al meglio i compiti individuati dalla norma, è necessaria la previsione di adeguate risorse finanziarie da destinare al personale inserito stabilmente nell’ufficio.

I decreti delegati saranno accompagnati da un’attività di completamento sul piano organizzativo da parte del CSM e del Ministro della giustizia che, nell’ambito delle rispettive competenze, dovranno dare attuazione alle disposizioni del o dei decreti legislativi riguardanti l’ufficio per il processo in tutti gli uffici giudiziari nel termine di sei mesi dalla entrata in vigore dei medesimi decreti.

Inoltre, il Ministro della giustizia assicurerà che la dotazione organica dell’ufficio per il processo istituito sia adeguata all’efficace assolvimento dei compiti ad esso assegnati.

Per la magistratura onoraria, anche in riforma e revisione del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116, dovrà tenersi conto del necessario adeguamento dei parametri retributivi commisurati all’entità della prestazione e alla qualità del servizio; per il personale amministrativo, l’assunzione a tempo determinato dovrà garantire la retribuzione prevista e corrispondente all’inquadramento professionale; per i tirocinanti e gli stagisti, saranno previste borse di studio già oggetto di specifica previsione del decreto ministeriale 10 luglio 2015, come modificato e integrato dal decreto ministeriale 1 ottobre 2015.

È da tempo acquisita la consapevolezza che il rafforzamento delle strutture organizzative degli uffici giudiziari costituisce la precondizione per il buon funzionamento delle riforme processuali.

Per questo il disegno di legge si propone di affrontare il problema della introduzione di una struttura di supporto alla Corte di cassazione per la schedatura dei ricorsi e per l’espletamento di una serie di verifiche preliminari alla decisione, tanto in ordine al ricorso, alla sua tempestività ed alla focalizzazione del suo contenuto, quanto in ordine alla verifica dello stato della giurisprudenza della Corte sui temi proposti con il ricorso.

Tenendo conto dei risultati soddisfacenti conseguiti a seguito dell’introduzione dell’ufficio per il processo nei tribunali, il disegno di legge delega prevede l’istituzione di tale ufficio anche presso la Corte di cassazione.

La finalità che tale innovazione organizzativa intende perseguire è quella di contribuire alla riduzione dei tempi di durata del processo e all’abbattimento delle pendenze, anche attraverso l’innovazione di modelli organizzativi ed assicurando un più efficiente impiego delle risorse tecnologiche e telematiche.

Il ruolo peculiare che la Costituzione, l’ordinamento giudiziario e il codice di procedura civile assegnano alla Corte di cassazione si riflette sui compiti assegnati all’ufficio per il processo presso la Corte. Il disegno di legge delegante li elenca con precisione: previa adeguata formazione di carattere teorico-pratico, prestare assistenza ai fini dell’analisi delle pendenze e dei flussi delle sopravvenienze; provvedere alla compilazione della scheda del ricorso, indicante la materia, la sintesi dei motivi e l’esistenza di precedenti specifici; prestare assistenza ai fini dell’organizzazione delle udienze e delle camere di consiglio, anche individuando filoni tematici e per cause seriali; prestare supporto ai magistrati della Corte nelle attività preparatorie relative ai provvedimenti giurisdizionali, quali ricerche di giurisprudenza, di legislazione, di dottrina e di documentazione; contribuire alla complessiva gestione dei ricorsi e relativi provvedimenti giudiziali; raccogliere il materiale e la documentazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario.

Tutti questi compiti sono destinati a svolgersi sotto la guida del presidente della sezione o dei magistrati da lui delegati.
Quanto alla dotazione organica, si prevede che dell’ufficio per il processo facciano parte giovani laureati assunti all’esito di adeguata selezione. Adeguato spazio sarà dato a coloro che, presso la Corte di cassazione o gli uffici giurisdizionali di merito, abbiano svolto con profitto il tirocinio formativo a norma dell’articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, o la formazione professionale dei laureati a norma dell’articolo 37, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111; i neolaureati, anche in possesso di titoli specifici post lauream; potranno farne parte coloro che hanno conseguito il titolo di dottori di ricerca e/o assegnisti di ricerca, ma anche avvocati iscritti all’albo da non più di cinque anni, i quali, attesa l’incompatibilità con l’esercizio della professione forense durante il periodo di impegno presso la Corte di cassazione, vengono sospesi o cancellati dall’albo, con possibilità di reiscrizione al termine del periodo.

I decreti delegati saranno accompagnati da un’attività di completamento sul piano organizzativo da parte del CSM e del Ministro della giustizia. Si tratta di un settore nel quale giurisdizione e amministrazione si incrociano: ecco quindi che si impone, nell’ottica della leale collaborazione, uno sforzo congiunto sul piano dell’attuazione. Il disegno di legge delega prevede infatti che il Consiglio superiore della magistratura e il Ministro della giustizia, nell’ambito delle rispettive competenze, diano attuazione alle disposizioni del o dei decreti legislativi riguardanti l’ufficio per il processo presso la Corte di cassazione nel termine di sei mesi dalla entrata in vigore dei medesimi decreti. In particolare, si stabilisce che il Ministro della giustizia assicuri che la dotazione organica dell’ufficio per il processo istituito presso le sezioni della Corte di cassazione sia adeguata all’efficace assolvimento dei compiti ad esso assegnati.

Nell’ambito del perseguimento del medesimo obiettivo, il disegno di legge delega prevede l’istituzione dell’ufficio spoglio, analisi e documentazione della Procura generale presso la Corte di cassazione, con il compito di prestare assistenza in relazione alle attribuzioni della Procura generale relative all’intervento nei giudizi dinanzi alla Corte di cassazione.

Il disegno di legge delega contempla i compiti dell’ufficio per il processo: previa adeguata formazione di carattere teorico-pratico, prestare assistenza ai magistrati nell’analisi preliminare dei procedimenti che pervengono per l’intervento e la formulazione delle conclusioni e delle memorie dinanzi alle sezioni unite e alle sezioni semplici della Corte di cassazione, sia in udienza pubblica che in camera di consiglio; effettuare ricerche e analisi su precedenti, sugli orientamenti e sulle prassi degli Uffici giudiziari di merito nelle materie e negli ambiti che formano oggetto dei ricorsi; individuare questioni che possono far promuovere il procedimento per l’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge a norma dell’articolo 363 c.p.c.; raccogliere materiale e documentazione per la predisposizione dell’intervento del Procuratore in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario.

La dotazione organica è modellata su quella prevista per l’ufficio per il processo della Corte di cassazione. Analoghe sono le disposizioni per quanto attiene all’attuazione e al completamento della disciplina del o dei decreti delegati da parte del CSM e del Ministro.

1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche della normativa di settore istitutiva dell’ufficio per il processo sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

a) la struttura organizzativa dell’ufficio per il processo costituita presso i tribunali si comporrà delle seguenti professionalità:

  1. la magistratura onoraria sulla base dei criteri indicati nel decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116;
  2. i tirocinanti laureati ai sensi dell’articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98;
  3. i soggetti che hanno completato lo stage ex articolo 37, comma 11 del decretolegge 6 luglio 2011, n. 98 convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111;
  4. il personale amministrativo delle cancellerie e/o quello assunto con contratto a tempo determinato;
  5. i laureati da un numero limitato di anni, anche in possesso di titoli specifici post lauream;
  6. altre possibili professionalità da individuarsi, in relazione alla specializzazione delle sezioni, sulla base di progetti tabellari o convenzioni con enti ed istituzioni esterne, demandati ai dirigenti degli uffici giudiziari, da assumersi con contratto a tempo determinato;

b) nell’ambito delle rispettive competenze e tenendo conto della specificità degli obiettivi individuati dai dirigenti degli uffici nelle rispettive proposte tabellari, ai componenti dell’ufficio per il processo vengono affidati, previa adeguata formazione di carattere teorico-pratico, i seguenti compiti:

  1. coadiuvare uno o più magistrati ordinari e, sotto la loro direzione e coordinamento, compiere tutti gli atti preparatori utili per l’esercizio della funzione giurisdizionale da parte di questi ultimi, provvedendo, in particolare, allo studio dei fascicoli, all’approfondimento giurisprudenziale e dottrinale, alla selezione dei presupposti di mediabilità della lite, alla predisposizione delle minute dei provvedimenti nonché all’attività istruttoria delegata dal magistrato ordinario;
  2. svolgere compiti di natura più propriamente amministrativa, come la verbalizzazione delle udienze e il monitoraggio dei fascicoli più datati, delle comunicazioni e delle notifiche;
  3. incrementare la capacità produttiva dell’ufficio con la valorizzazione e la messa a disposizione dei precedenti dell’ufficio giudiziario di riferimento attraverso l’organizzazione delle decisioni giudiziali e la relativa raccolta per il tramite di banche dati in costante aggiornamento, nonché perseguire un effetto deflattivo con la diffusione degli orientamenti;
  4. prevedere che il Consiglio superiore della magistratura e il Ministro della giustizia, nell’ambito delle rispettive competenze, diano attuazione alle disposizioni del o dei decreti legislativi riguardanti l’ufficio per il processo presso il tribunale, nel termine di sei mesi dalla entrata in vigore dei medesimi decreti;
  5. prevedere che il Ministro della giustizia assicuri che la dotazione organica dell’ufficio per il processo istituito presso il tribunale sia adeguata all’efficace assolvimento dei compiti ad esso assegnati;

c) l’ufficio per il processo deve essere costituito quale struttura di staff dei magistrati, in corrispondenza delle singole sezioni, con compiti e obiettivi specifici, avendo cura di impiegare le risorse ivi assegnate per ridurre sensibilmente l’arretrato e definire più rapidamente i procedimenti e velocizzare la risposta di giustizia.

1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche della normativa di settore istitutiva dell’ufficio per il processo sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

a) la struttura organizzativa dell’ufficio per il processo da costituire presso le corti di appello si comporrà delle seguenti professionalità:

  1. coloro che abbiano conseguito il titolo di dottore di ricerca in materie giuridiche o economiche nonché ottenuto assegni o borse di ricerca nelle stesse discipline;
  2. magistrati collocati in quiescenza da non più di tre anni;
  3. avvocati iscritti all’albo da non più di cinque anni, i quali, durante il periodo di impegno presso la corte di appello non potranno esercitare la professione legale negli uffici del distretto;
  4. giudici ausiliari per le corti di appello di cui agli articoli 62 e seguenti del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, che dovranno formare oggetto di separata modifica a seguito della dichiarazione di incostituzionalità di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 41/2021.
  5. tirocinanti laureati ai sensi dell’articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98
  6. soggetti che hanno completato lo stage ex articolo 37, comma 11 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111;
  7. laureati da un numero limitato di anni, anche in possesso di titoli specifici post lauream;

b) nell’ambito delle rispettive competenze e tenendo conto della specificità degli obiettivi individuati dai dirigenti degli uffici nelle rispettive proposte tabellari, ai componenti dell’ufficio per il processo vengono affidati, previa adeguata formazione di carattere teorico-pratico, i seguenti compiti:

  1. coadiuvare uno o più magistrati ordinari e, sotto la loro direzione e coordinamento, compiere tutti gli atti preparatori utili per l’esercizio della funzione giurisdizionale da parte di questi ultimi, provvedendo, in particolare, allo studio dei fascicoli, all’approfondimento giurisprudenziale e dottrinale, all’organizzazione delle decisioni giudiziali e alla relativa raccolta per il tramite di banche dati in costante aggiornamento, alla selezione dei presupposti di mediabilità della lite, alla predisposizione delle minute dei provvedimenti, avendo cura di impiegare le risorse ivi assegnate per ridurre sensibilmente l’arretrato, definire più rapidamente i procedimenti e velocizzare la risposta di giustizia;
  2. prevedere che il Consiglio superiore della magistratura e il Ministro della giustizia, nell’ambito delle rispettive competenze, diano attuazione alle disposizioni del o dei decreti legislativi riguardanti l’ufficio per il processo presso la corte d’appello nel termine di sei mesi dalla entrata in vigore dei medesimi decreti;
  3. prevedere che il Ministro della giustizia assicuri che la dotazione organica dell’ufficio per il processo istituito presso le corti di appello sia adeguata all’efficace assolvimento dei compiti ad esso assegnati.

1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche alla disciplina di settore istitutiva dell’ufficio per il processo sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

  1. prevedere l’istituzione dell’ufficio per il processo presso la Corte di cassazione, al fine di contribuire alla riduzione dei tempi di durata del processo e all’abbattimento delle pendenze, anche attraverso l’innovazione di modelli organizzativi ed assicurando un più efficiente impiego delle risorse tecnologiche e telematiche;
  2. prevedere che all’ufficio per il processo presso la Corte di cassazione siano assegnati, previa adeguata formazione di carattere teorico-pratico, i seguenti compiti, da svolgere sotto la supervisione e secondo gli indirizzi del presidente o di magistrati da lui delegati: prestare assistenza ai fini dell’analisi delle pendenze e dei flussi delle sopravvenienze; provvedere alla compilazione della scheda del ricorso, indicante la materia, la sintesi dei motivi e l’esistenza di precedenti specifici; prestare assistenza ai fini dell’organizzazione delle udienze e delle camere di consiglio, anche individuando filoni tematici e per cause seriali; prestare supporto ai magistrati della Corte nelle attività preparatorie relative ai provvedimenti giurisdizionali, quali ricerche di giurisprudenza, di legislazione, di dottrina e di documentazione; contribuire alla complessiva gestione dei ricorsi e relativi provvedimenti giudiziali; raccogliere il materiale e la documentazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario;
  3. prevedere che l’ufficio per il processo sia costituito presso ogni sezione e presso le sezioni unite;
  4. prevedere che all’ufficio per il processo sia assegnato personale assunto a tempo determinato, all’esito di adeguata selezione, tra: coloro che abbiano conseguito il titolo di dottore di ricerca in materie giuridiche o economiche; assegnisti di ricerca nelle stesse discipline; coloro che, presso la Corte di cassazione o gli uffici giurisdizionali di merito, abbiano svolto con profitto il tirocinio formativo a norma dell’articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, o la formazione professionale dei laureati a norma dell’articolo 37, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111; avvocati iscritti all’albo da non più di cinque anni, i quali, durante il periodo di impegno presso la Corte di cassazione, vengono sospesi o cancellati dall’albo, con possibilità di reiscrizione al termine del periodo; i laureati da un numero limitato di anni, anche in possesso di titoli specifici post lauream;
  5. prevedere che dell’ufficio per il processo facciano altresì parte: coloro che svolgono, presso la Corte di cassazione, il tirocinio formativo a norma dell’articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, o la formazione professionale dei laureati a norma dell’articolo 37, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111; personale amministrativo con competenze specifiche, anche informatiche;
  6. prevedere che il Consiglio superiore della magistratura e il Ministro della giustizia, nell’ambito delle rispettive competenze, diano attuazione alle disposizioni del o dei decreti legislativi riguardanti l’ufficio per il processo presso la Corte di cassazione nel termine di sei mesi dalla entrata in vigore dei medesimi decreti;
  7. prevedere che il Ministro della giustizia assicuri che la dotazione organica dell’ufficio per il processo istituito presso le sezioni della Corte di cassazione sia adeguata all’efficace assolvimento dei compiti ad esso assegnati.

1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, nel decreto o nei decreti legislativi istitutivi dell’ufficio per il processo presso la Corte di cassazione sono altresì adottate disposizioni concernenti la Procura generale presso la Corte, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

  1. prevedere l’istituzione dell’Ufficio spoglio, analisi e documentazione della Procura generale presso la Corte di cassazione, con il compito di prestare, previa adeguata formazione di carattere teorico-pratico, sotto la supervisione e secondo gli indirizzi degli Avvocati generali e dei magistrati dello stesso Ufficio, assistenza in relazione alle attribuzioni della Procura generale relative all’intervento nei giudizi dinanzi alla Corte di cassazione;
  2. prevedere che all’Ufficio indicato nella lettera a) siano in particolare assegnati i seguenti compiti: prestare assistenza ai magistrati nell’analisi preliminare dei procedimenti che pervengono per l’intervento e la formulazione delle conclusioni e delle memorie dinanzi alle sezioni unite e alle sezioni semplici della Corte di cassazione, sia in udienza pubblica che in camera di consiglio; effettuare ricerche e analisi su precedenti, sugli orientamenti e sulle prassi degli Uffici giudiziari di merito nelle materie e negli ambiti che formano oggetto dei ricorsi; individuare questioni che possono far promuovere il procedimento per l’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge a norma dell’articolo 363 c.p.c.; raccogliere materiale e documentazione per la predisposizione dell’Intervento del Procuratore in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario;
  3. prevedere che all’Ufficio indicato nella lettera a) sia assegnato personale assunto a tempo determinato, all’esito di adeguata selezione, tra: coloro che abbiano conseguito il titolo di dottore di ricerca in materie giuridiche o economiche; assegnisti di ricerca nelle stesse discipline; coloro che, presso la Procura generale o gli uffici di merito, abbiano svolto con profitto il tirocinio formativo a norma dell’articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, o la formazione professionale dei laureati a norma dell’articolo 37, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111; avvocati iscritti all’albo da non più di cinque anni, i quali, durante il periodo di impegno presso la Procura generale, vengono sospesi o cancellati dall’albo, con possibilità di reiscrizione al termine del periodo; i neolaureati, anche in possesso di titoli specifici post lauream;
  4. prevedere che dell’Ufficio spoglio, analisi e documentazione facciano altresì parte coloro che svolgono, presso la Procura generale, il tirocinio formativo a norma dell’articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, o la formazione professionale dei laureati a norma dell’articolo 37, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nonché unità di personale amministrativo con competenze specifiche, anche informatiche;
  5. prevedere che il Consiglio superiore della magistratura e il Ministro della giustizia, nell’ambito delle rispettive competenze, diano attuazione alle disposizioni del o dei decreti legislativi riguardanti l’Ufficio spoglio, analisi e documentazione della Procura generale presso la Corte di cassazione nel termine di sei mesi dalla entrata in vigore dei medesimi decreti.

La proposta normativa intende intervenire sulla disciplina dell’arbitrato rituale, che, pur essendo stata oggetto di una organica riforma mediante il decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, ha in questi ultimi quindici anni evidenziato ancora alcune lacune e necessità di integrazioni, anche ad esito del percorso compiuto dalle nostre Supreme Corti (si fa in particolare riferimento alle fondamentali pronunce Cass. SS.UU, ord. n. 24153/2013, e Corte cost., sent. n. 223/2013) che hanno sottolineato il ruolo e la natura di equivalente giurisdizionale che l’arbitrato rituale riveste. In questa prospettiva, l’obiettivo perseguito è quello di una generale valorizzazione dell’istituto arbitrale e di un potenziamento delle sue specifiche prerogative, anche al fine di deflazionare il contezioso giurisdizionale.

A tale scopo si ritiene in primo luogo indispensabile un rafforzamento della garanzia dell’imparzialità del giudice arbitrale, anche tenuto conto delle specificità riconnesse alla nomina degli arbitri che, fatte salve alcune eccezioni come quelle dell’arbitrato societario o dell’arbitrato multiparti, nonché le ipotesi (tendenzialmente sussidiarie) di nomina per via giudiziaria, è di regola attribuita direttamente alle parti. A questo proposito, dunque, si rende necessario improntare il sistema a una maggiore trasparenza, prevedendo in capo agli arbitri designati un generale obbligo di rivelazione di tutte le circostanze di fatto (quali, in via esemplificativa, la presenza di eventuali legami o relazioni con le parti o i loro difensori) che potrebbero minare la garanzia dell’imparzialità anche soltanto nella percezione delle parti stesse. Si tratta in sostanza del c.d. duty of disclosure previsto a livello normativo da altri ordinamenti e già inserito nella concreta esperienza applicativa in alcuni regolamenti adottati da organismi o enti che hanno sviluppato una solida esperienza nella amministrazione dei procedimenti arbitrali. La suddetta proposta non soltanto risponde a una esigenza di sistema ricollegata al rispetto e rafforzamento dei valori di terzietà e imparzialità che devono essere propri anche della giustizia arbitrale, ma si propone altresì di rinsaldare la fiducia nell’istituto in capo ai potenziali fruitori e a coloro che vi si intendono rivolgere.

Una seconda proposta di intervento è quella di riconoscere agli arbitri rituali, in presenza di specifiche condizioni, il potere di emanare provvedimenti cautelari, così attribuendo il dovuto rilievo alla linea di apertura che già era stata impressa con l’ultima riforma dell’arbitrato e la correlata modifica dell’articolo 818 c.p.c., ma che sino ad oggi era nell’ordinamento di fatto limitata al solo arbitrato societario e al potere per gli arbitri, in tale sede previsto, di disporre la sospensione cautelare delle delibere assembleari. La proposta tiene conto dei rilievi critici che dal punto di vista dogmatico sono stati mossi al generale divieto per gli arbitri di emanare provvedimenti cautelari, risponde alla ormai pacificamente riconosciuta funzione di indispensabile complemento e completamento della tutela cautelare nell’ambito della tutela giurisdizionale e per realizzare il principio di effettività di quest’ultima (cfr. ad esempio in ambito eurounitario la sentenza della Corte di Giustizia del 19 giugno 1990, C-213/89, Factortame Ltd.), e da ultimo intende allineare la disciplina italiana dell’arbitrato a quanto previsto negli ordinamenti europei, che da tempo riconoscono in capo agli arbitri il potere di emanare provvedimenti cautelari. Sotto questo profilo, dunque, la proposta rende maggiormente attrattivo lo strumento arbitrale anche per soggetti e investitori stranieri.

In concreto il riconoscimento dei poteri cautelari al giudice privato viene delimitato alle sole ipotesi di previa espressa volontà delle parti, manifestata nella convenzione di arbitrato o in atto scritto successivo, così rimettendo tale prerogativa alla libera e consapevole scelta dei compromittenti. A ulteriore completamento e garanzia della disciplina si prevede, in primo luogo, che resta fermo il potere cautelare del giudice ordinario anteriormente all’accettazione della nomina da parte degli arbitri e, in secondo luogo, che il controllo sull’esercizio del potere cautelare da parte degli arbitri, sub specie dell’istituto del reclamo, resta attribuito al giudice ordinario (per le ipotesi di vizi di cui all’articolo 829, comma 1, c.p.c., oltre che per contrarietà all’ordine pubblico). Il giudice ordinario mantiene altresì la competenza per l’eventuale fase di attuazione della misura.

Ulteriori interventi sono volti a razionalizzare la disciplina dell’arbitrato rituale. A tale scopo si prevede in modo esplicito l’esecutività del decreto con il quale il presidente della corte di appello dichiara l’efficacia del lodo straniero avente contenuto di condanna, al fine di risolvere i contrasti interpretativi sorti sul tema; si attribuisce alle parti, nel caso di decisione secondo diritto, il potere di individuare e scegliere la legge applicabile al merito della controversia; e, da ultimo, si riduce a sei mesi il termine cosiddetto “lungo” (in mancanza di notificazione del lodo arbitrale) per la proposizione dell’impugnazione per nullità del lodo, allineandolo al regime previsto per la sentenza civile dall’articolo 327, comma 1, c.p.c. in una prospettiva di maggiore uniformazione del regime temporale di impugnazione avverso due tipologie di provvedimenti equivalenti.

Ancora, in una prospettiva di risistemazione organica della materia e di semplificazione del quadro normativo di riferimento, si prevede di riordinare e ricollocare all’interno del codice di procedura civile, agli articoli 833 ss. c.p.c. abrogati dalla citata riforma attuata con decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, la disciplina contenuta nelle norme relative all’arbitrato societario di cui agli articoli 34, 35, 36 e 37, decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, con conseguente abrogazione di quest’ultima normativa. Il tutto prevedendo altresì la reclamabilità dell’ordinanza emanata dagli arbitri che provvede sulla richiesta di sospensione della delibera assembleare. Infine, anche per dare attuazione a quanto stabilito dalla Corte costituzionale, sentenza 19 luglio 2013, n. 223, si prevede di disciplinare la translatio iudicii tra giudizio ordinario e arbitrato e nella corrispondente speculare ipotesi.

1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche alla disciplina dell’arbitrato sono adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

  1. rafforzare le garanzie di imparzialità e indipendenza dell’arbitro, prevedendo l’obbligo di rilasciare, al momento dell’accettazione della nomina, una dichiarazione che contenga tutte le circostanze di fatto rilevanti ai fini delle sopra richiamate garanzie, prevedendo l’invalidità dell’accettazione nel caso di omessa dichiarazione, nonché in particolare la decadenza nel caso in cui, al momento di accettazione della nomina, l’arbitro abbia omesso di dichiarare le circostanze che, ai sensi dell’articolo 815 del codice di procedura civile, possono essere fatte valere come motivi di ricusazione;
  2. prevedere in modo esplicito l’esecutività del decreto con il quale il presidente della corte di appello dichiara l’efficacia del lodo straniero con contenuto di condanna;
  3. prevedere l’attribuzione agli arbitri rituali del potere di emanare misure cautelari nell’ipotesi di espressa volontà delle parti in tal senso, manifestata nella convezione di arbitrato o in atto scritto successivo, salva diversa disposizione di legge; mantenere per tali ipotesi in capo al giudice ordinario il potere cautelare nei soli casi di domanda anteriore all’accettazione degli arbitri; disciplinare il reclamo cautelare avanti al giudice ordinario per i motivi di cui all’articolo 829, primo comma, del codice di procedura civile e per contrarietà all’ordine pubblico; disciplinare le modalità di attuazione della misura cautelare sempre sotto il controllo del giudice ordinario;
  4. prevedere, nel caso di decisione secondo diritto, il potere delle parti di indicazione e scelta della legge applicabile;
  5. ridurre a sei mesi il termine c.d. lungo per la proposizione dell’impugnazione per nullità del lodo rituale, allineandolo al termine c.d. lungo previsto per l’impugnazione delle sentenze pronunciate dal giudice ordinario in materia civile;
  6. prevedere, in una prospettiva di risistemazione organica della materia e di semplificazione della normativa di riferimento, l’inserimento nel codice di procedura civile delle norme relative all’arbitrato societario e la conseguente abrogazione del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5; prevedere in tale ambito la reclamabilità dell’ordinanza che decide sulla richiesta di sospensione della delibera;
  7. disciplinare la translatio iudicii tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario e tra giudizio ordinario e giudizio arbitrale.

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Sostegno a favore di cittadini e imprese: incentivi fiscali ed economici (lettere a)- d)). – 3. Estensione del tentativo obbligatorio di mediazione (lettera e)). – 4. Contenzioso in materia di circolazione stradale e negoziazione assistita (lettera f)). – 5. Contenzioso di cui all’articolo 409 c.p.c.: mediazione e negoziazione assistita (lettera g)). – 6. Potenziamento della mediazione demandata dal giudice (lettera h)). – 7. Semplificazione della procedura di mediazione (lettere i)-k)). – 8. La Pubblica Amministrazione in mediazione (lettere l)-m)). – 9. Formazione e sistema di accreditamento e controllo (lettera n)). – 10. Procedura di negoziazione assistita (lettera o)). – 11. Armonizzazione delle discipline (lettera p)). – 12. Abrogazione dell’articolo 10 del disegno di legge AS 1662.

Nell’ambito degli interventi volti a garantire effettività all’accesso alla giustizia, da intendersi come garanzia di tutela dei diritti, celerità del processo, contenimento dei costi per i cittadini e le imprese, si rivela decisiva e non prorogabile una riforma degli strumenti stragiudiziali di risoluzione delle controversie. Intervenire sulla complementarietà e la coesistenza delle due vie, giudiziale e stragiudiziale, significa ampliare la risposta di giustizia a beneficio degli interessati e della società intera.

La riforma della giustizia civile assegna un ruolo significativo alla gestione negoziale delle liti che, per essere socialmente riconosciuta nei suoi valori e utilmente praticata, deve poter godere di interventi mirati e adeguati. Una riforma che persegua obiettivi di efficacia ed efficienza del sistema giustizia conduce lo ius dicere nella dimensione della scelta inevitabile da parte dei confliggenti in ragione dell’oggetto della controversia, della natura del rapporto, del contesto di riferimento. Si attiva la delega giudiziale dopo aver percorso la strada del confronto, del dialogo generativo di soluzioni. Considerando che l’autonomia non può essere solo promossa, ma deve essere incentivata con interventi adeguati, la riforma che contempli un sistema integrato di giustizia muove passi decisi al fine, prima di tutto, di determinare una profonda innovazione culturale, dalla formazione universitaria a quella professionale, capace di accogliere e sostenere il cambiamento.

Il legislatore promuove tali obiettivi e sostiene i cittadini, le imprese, tutti i professionisti operatori del contenzioso, nell’impiego dei metodi di composizione dei conflitti complementari alla giurisdizione, per la valorizzazione della pratica dell’autonomia privata conciliativa assistita da professionisti competenti e per l’efficacia che tale pratica produce, come già verificato, nello smaltimento dell’arretrato giudiziale, nella riduzione delle pendenze e nell’accelerazione delle procedure. Un sistema di qualità orientato alla prevenzione e alla gestione coesistenziale dei conflitti che precede o si accompagna alla giurisdizione, rendendo sostenibile il sistema della giustizia civile mediante il riequilibrio del rapporto tra domanda ed offerta, realizza l’efficienza del sistema giustizia e coniuga l’effettiva tutela dei diritti, il rafforzamento della coesione sociale ed il rilancio del sistema economico.

Il principio di delega si propone di rafforzare gli incentivi fiscali ed economici già previsti agli articoli 17 e 20 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, prevederne di nuovi e semplificare 21 la loro erogazione alle parti. Nel contempo, il principio di delega prevede di riformare le spese di avvio e le indennità di mediazione, rendendo le spese del primo incontro effettivo totalmente rimborsabili tramite il riconoscimento di un credito d’imposta così come era già previsto, ma mai attuato, dall’articolo 20 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28: le parti non sopporteranno alcuna duplicazione di costi per l’avvio di una procedura giudiziale nel caso di esito negativo del primo incontro di mediazione.

Il principio ha lo scopo di rafforzare e semplificare gli incentivi già previsti agli articoli 17 e 20 del decreto legislativo del 4 marzo 2010, n. 28, e in parte non attuati.

Un primo criterio prevede di aumentare da 50.000,00 a 100.000,00 euro il limite del valore entro il quale il verbale di accordo in mediazione è esente da imposta di registro. L’intervento è necessario anche al fine di aggiornare il valore economico espresso (50.000,00 euro) alle rinnovate esigenze del sistema, nonché per esigenze di incentivazione al ricorso alla mediazione legate alle difficoltà del contesto emergenziale e nel tempo a venire. La misura è in linea con la recente normazione emergenziale che ha ampiamente fatto ricorso, in taluni settori sociali ed economici, all’utilizzo di strumenti fondamentali di sostegno. La misura incide sul Fondo Unico Giustizia di cui all’articolo 2, comma 7, lettera b) del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, con conseguente intervento di sistema senza ulteriore aggravio di oneri per lo Stato (cfr. l’articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28; in attuazione dell’articolo 60, comma 3, lettera o), della legge 18 giugno 2009, n. 69, le agevolazioni fiscali previste dal presente articolo, commi 2 e 3, e dall’articolo 20 rientrano tra le finalità del Ministero della giustizia finanziabili con la parte delle risorse affluite al Fondo Unico Giustizia attribuite al predetto Ministero).

Un secondo criterio riguarda la procedura di riconoscimento del credito d’imposta prevista all’articolo 20 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, che deve essere semplificata ed estesa alle spese di assistenza dell’avvocato in mediazione e alle stesse spese di mediazione.

Un terzo criterio prevede il rimborso parziale o totale del contributo unificato già corrisposto dalle parti, a seguito di una mediazione conclusa con successo relativa alla causa in corso.

Un quarto criterio mira a risolvere il problema, già dibattuto in giurisprudenza, del riconoscimento del patrocinio a spese dello Stato per le spese di assistenza legale nella procedura di mediazione per gli aventi diritto.

Al contempo, un quinto criterio introduce il rimborso, anche sotto forma di credito d’imposta, agli organismi di mediazione per le prestazioni svolte a favore dei soggetti che beneficiano del gratuito patrocinio.

Un sesto criterio introduce un’indennità calmierata sulla base del valore della lite per lo svolgimento del primo incontro effettivo che possa essere totalmente deducibile come credito d’imposta e quindi gratuito per le parti, al fine di produrre un doppio vantaggio: il primo incontro con il mediatore si svolge effettivamente a fronte di un’indennità calmierata e totalmente deducibile dalle parti come credito d’imposta; a seguito del primo incontro, le parti possono decidere se proseguire volontariamente con ulteriori incontri di mediazione.

Secondo le statistiche del 2020 pubblicate dal Ministero della giustizia (cfr. la slide 12 della presentazione “Esito per tipologia di procedimento”), la suddivisione percentuale delle procedure di mediazione definite nell’anno per tipologie di ricorso sono state le seguenti:

  • 87,1% nelle materie di cui al comma 1-bis dell’articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (di cui il 12,1% di mediazioni demandate dal giudice per improcedibilità);
  • 12% nelle materie in cui non è previsto il primo incontro come condizione di procedibilità;
  • 0,9% di mediazioni demandate dal giudice.

Le statistiche provano che a otto anni dalla riforma del 2013, la stragrande maggioranza delle mediazioni viene avviata ancora solo nelle materie dove è previsto il primo incontro di mediazione come condizione di procedibilità. La partecipazione al primo incontro di persona o in video conferenza in un luogo neutrale con l’assistenza del mediatore e degli avvocati si è rivelato lo strumento più efficace affinché le parti possano prendere una decisione informata e consapevole sulla prosecuzione della procedura.

Sulla base delle statistiche riportate e per dare seguito alle linee programmatiche della Ministra della giustizia a proposito della mediazione preventiva rispetto alla possibile esplosione del contenzioso, nonché tenendo presente che attualmente le materie in cui vige il primo incontro di mediazione quale condizione di procedibilità sono pari solo a circa il 15% di tutto il contenzioso civile, il principio di delega mira a estendere l’obbligatorietà del tentativo alle materie indicate, che per la natura del rapporto controverso, in considerazione delle risultanze statistiche e delle rilevazioni effettuate nell’ambito di progetti distrettuali, e per il sostegno diffuso che la proposta incontra presso gli operatori risultano particolarmente compatibili con la negoziazione del conflitto guidata dal professionista mediatore e con la presenza indispensabile degli avvocati. Il principio di delega prevede un’estensione della partecipazione ad un primo incontro di mediazione alle controversie relative a contratti di durata, per i quali si prevede una consistente crescita del contenzioso a causa delle conseguenze economiche derivanti dalla pandemia.

Il principio di delega ribadisce la necessità di realizzare un attento monitoraggio dei risultati statistici e un’opportuna verifica tra cinque anni, ossia nel 2026, anno di conclusione dell’introduzione delle riforme.

Gli incentivi economici previsti a favore delle parti per l’indennità corrisposta all’organismo di mediazione e per l’assistenza legale per lo svolgimento del primo incontro di mediazione evitano qualsiasi duplicazione di costi in caso di esito negativo del tentativo di mediazione.

Considerato lo scarsissimo rilievo che ha avuto la negoziazione assistita come condizione di procedibilità nelle controversie in materia di circolazione stradale, il principio indirizza verso la facoltatività del ricorso a tale procedura.

La gestione stragiudiziale delle controversie di lavoro è particolarmente utile e necessaria non solo in chiave deflattiva, ma proprio nel comune interesse delle parti di conseguire certezze in tempi brevi, anche sul piano del corrispettivo economico. Consentire ai datori di lavoro e ai lavoratori, assistiti dai rispettivi avvocati, di ricercare l’accordo in sede negoziale e laddove necessario con l’ausilio del mediatore, terzo imparziale, mira a tutelare tutte le parti della controversia. La funzionalità e rapidità dei percorsi complementari alla giurisdizione riduce le possibilità di inasprimento dei conflitti, la cui valenza trascende i casi singoli e appare particolarmente auspicabile in un periodo di difficoltà e potenziale crescita delle tensioni sociali. La misura è coerente con l’obiettivo perseguito dalla delega, insieme alla maggiore efficienza del processo civile.

Una concreta risposta al bisogno di indirizzare la spesa pubblica verso l’introduzione di interventi che incentivino l’efficacia del servizio giustizia per produrre un risparmio economico e ingenerare un meccanismo virtuoso di fiducia dei consociati è l’inserimento stabile nell’ufficio per il processo di nuovo personale qualificato con il compito di collaborare allo studio della controversia, di predisporre i provvedimenti giudiziali, di affiancare il giudice in vista di una gestione differenziata del contenzioso, mediante il ricorso alla mediazione demandata nonché ad altre forme di risoluzione consensuale della controversia. Gli esiti della sperimentazione condotta in alcuni tribunali del territorio nazionale, che prevedeva l’affiancamento dei giudici da parte di laureati esperti nella valutazione di mediabilità della causa, dimostrano che la mediazione demandata dal giudice ha prodotto un significativo effetto deflattivo del processo e un conseguente notevole risparmio sia dal lato dell’offerta che da quello della domanda di giustizia, atteso che numerosi processi sono stati interrotti o non sono stati avviati in ragione della acquisizione crescente di competenze negoziali da parte degli avvocati e dei consociati.

Il principio prevede: un primo criterio secondo cui dovranno risultare tracciabili attraverso il Sistema Informativo Contenzioso Civile Distrettuale (SICID) i provvedimenti giudiziali che demandano alla mediazione al fine del componimento della lite, utili anche al fine della valutazione di professionalità del giudice; un secondo criterio che mira a stimolare l’utilizzo adeguato di tale strumento, prevedendo la possibilità di attivare in tutti i tribunali, con il coordinamento del Ministero della giustizia, protocolli con enti territoriali anche sulla base di progetti già realizzati e monitorati.

L’esperienza applicativa del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, a dieci anni dalla sua entrata in vigore, ha consentito di maturare delle importanti riflessioni sull’efficacia dell’attuale modello di mediazione e sui possibili correttivi. Alla luce dell’esperienza degli ultimi anni, vi sono due aspetti principali che potrebbero essere opportunamente rivisti, nell’ottica di implementare l’effettività e l’efficacia della mediazione e, in particolare: il primo incontro di mediazione, unico passaggio concretamente obbligatorio nell’attuale sistema riformato, deve essere reso comunque effettivo; la presenza personale delle parti deve essere espressamente contemplata, senza possibilità di delega all’avvocato, fatti salvi comprovati motivi. La Corte di cassazione, intervenuta recentemente sull’attuale modello di mediazione con la sentenza n. 8473/2019, ha riconosciuto che, allo stato delle previsioni attuali, pur essendo menzionata la partecipazione personale delle parti, le stesse possono conferire al proprio avvocato una procura speciale e sostanziale per essere rappresentate in mediazione.

In forza delle argomentazioni appena svolte, il principio propone un primo criterio relativo alla ridefinizione del primo incontro di mediazione, al fine di renderlo comunque effettivo, con un’indennità calmierata. Invero, l’effettività del primo incontro di mediazione rafforza l’efficacia della mediazione e la consapevole scelta delle parti di procedere nei successivi incontri, preservando il rispetto della Costituzione. Celebrato il primo incontro effettivo, supportato dagli incentivi economici sopra indicati, le parti sono libere di avvalersi dell’attività del mediatore per la possibile prosecuzione della procedura.

Un secondo criterio riguarda la previsione della partecipazione personale delle parti agli incontri di mediazione e dell’assistenza obbligatoria degli avvocati. La partecipazione personale delle parti è una prerogativa essenziale per un efficace svolgimento della mediazione, in quanto la dinamica negoziale deve inevitabilmente coinvolgere i soggetti su cui ricadono gli effetti sostanziali di un possibile accordo. Al fine di favorire la partecipazione personale delle parti, è opportuno pertanto esplicitare che la possibilità di delega deve essere limitata ai casi di impossibilità alla comparizione personale e su procura speciale sostanziale affidata a un soggetto che deve essere a conoscenza dei fatti e degli interessi della parte.

Un terzo criterio riguarda la mediazione svolta telematicamente. Le limitazioni derivanti dalle misure di contenimento disposte per l’emergenza sanitaria Covid-19 hanno favorito lo sviluppo della mediazione in videoconferenza, che potrà essere utilmente praticata anche in futuro, soprattutto laddove vi siano esigenze di contenimento di tempi e costi a causa della distanza delle parti o degli avvocati. È opportuno valutare la stabilizzazione delle disposizioni emergenziali (cfr. l’articolo 83, commi 20-bis e 20-ter, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, c.d. “Decreto Cura Italia”) emanate per lo svolgimento della mediazione in via telematica, con un’adeguata previsione all’interno del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, anche attraverso un’ulteriore semplificazione delle modalità di firma delle parti con sistemi OTP.

Un quarto criterio è relativo ai provvedimenti conseguenziali alla inottemperanza degli obblighi con particolare riferimento alle sanzioni. Il principio prevede la revisione della disciplina delle conseguenze processuali legate alle ipotesi di mancata partecipazione senza giustificato motivo alla mediazione o di mancata accettazione della proposta, anche con riferimento alla disciplina delle spese processuali ed alle disposizioni di cui all’articolo 96, comma 3, c.p.c.

Un quinto criterio prevede la precisazione sull’onere di attivare la mediazione a seguito dei procedimenti speciali, in particolare chiarendo definitivamente l’obbligo a carico dell’opposto nella mediazione a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo. Dopo un lungo contrasto giurisprudenziale, all’indomani della sentenza delle sezioni unite della Cassazione n. 19596/2020, è opportuno recepire tale principio in via normativa, anche per evitare ulteriori contrasti già manifestatisi.

Un sesto criterio concerne la possibilità che il mediatore possa, nelle controversie che presentano complessi profili tecnici, anche su istanza di parte, avvalersi di esperti tecnici iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il principio dovrebbe guidare la disciplina della consulenza tecnica in mediazione (CTM) prodotta da un professionista neutrale (notaio, ingegnere o medico legale) affinché possa essere utilizzata con il consenso delle parti, espresso al momento della nomina, nell’eventuale giudizio successivo alla mediazione, da un lato evitando la duplicazione di attività e spese, riducendo così i tempi e i costi del processo, dall’altro favorendo l’accordo fra le parti sulla base della valutazione del consulente.

La giurisprudenza ha energicamente stigmatizzato la tendenza, diffusasi presso le pubbliche amministrazioni, di sottrarsi al procedimento di mediazione, trincerandosi dietro il timore che l’eventuale partecipazione potrebbe cagionare un danno erariale.

Segnatamente, gli enti pubblici tendono a disertare le procedure di conciliazione, ancorché ritualmente convocate, persino nei casi di mediazione disposta iussu iudicis. Simile atteggiamento, di regola, viene seccamente argomentato alla stregua di quanto suggerito nella circolare n. 9 del 10 agosto 2012, emanata dal Ministero per la semplificazione e la Pubblica amministrazione. Talvolta, si aggiunge il timore del funzionario di incorrere in una responsabilità erariale della quale, nella maggior parte dei casi, non vengono identificati gli esatti contorni e le causali.

Tali considerazioni, già opinabili, sono superate a seguito dell’approvazione dell’articolo 21, decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, che interviene sull’elemento soggettivo della responsabilità erariale, circoscrivendo l’area dei pregiudizi risarcibili subiti dall’Amministrazione in ragione di condotte illecite dei propri funzionari. In particolare, la novella interviene sia sul dolo che sulla colpa grave con l’espresso intento di scongiurare la c.d. paura della firma del funzionario pubblico. È piuttosto evidente come questa tipologia di timori, prima che infondati, si radichino su una grave contraddizione. Infatti, se la legge impone degli obblighi a tutti i soggetti giuridici, senza alcuna eccezione per gli enti pubblici, obblighi nella specie consistenti nella seria e cooperativa partecipazione alla mediazione, allora non è certo il loro assolvimento, ma, al limite, la loro evasione, a poter astrattamente generare, in capo all’autore della scelta, una responsabilità di natura erariale. Ogni rischio di responsabilità astrattamente derivante dalle attività compiute nel procedimento di conciliazione deve essere prevenuto dal delegato dell’ente pubblico tramite la preventiva concertazione con l’organo apicale dei margini entro i quali un eventuale accordo amichevole potrebbe essere stipulato. D’altronde, la giurisprudenza contabile ha costantemente ribadito la perfetta compatibilità fra il modulo della transazione e lo statuto dell’azione amministrativa, a condizione che la situazione giuridica controversa sia disponibile e che l’atto dispositivo sia compiuto da soggetto all’uopo legittimato.

Nell’ottica di favorire la partecipazione al procedimento di mediazione da parte della P.A. e nel solco della recente normativa emergenziale del c.d. scudo erariale, pur non essendo necessario uno scudo erariale della P.A. o del singolo funzionario in ragione dei citati criteri ermeneutici, si rivela necessario redigere un’apposita disposizione normativa che integri il decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, fondata sul paradigma dell’articolo 21 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120.

Il principio costituisce il necessario presupposto per elevare la qualità del servizio di mediazione nella consapevolezza che a tal fine occorre, da un canto, rinnovare e rafforzare la formazione iniziale e permanente dei professionisti e degli operatori del sistema e, dall’altro, avviare la revisione dei criteri per l’accreditamento degli organismi di mediazione, dei mediatori, degli enti di formazione e dei formatori, con il conseguente adeguamento anche del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180 (nel solco tracciato dall’articolo 4 della Direttiva 2008/52/CE). In particolare, nella revisione dei programmi occorrerà prendere in considerazione i requisiti minimi di formazione per i mediatori indicati dal CEPEJ (European Commission for the Efficiency of Justice) e, per il potenziamento dei requisiti di qualità e trasparenza degli organismi di mediazione, si dovranno recepire i principi del Codice di Condotta Europeo per gli Organismi di Mediazione (documento approvato dall’Assemblea plenaria del CEPEJ del Consiglio d’Europa nel dicembre del 2018 con l’obiettivo di promuovere l’armonizzazione europea dei servizi di mediazione). Il perseguimento degli obiettivi di qualità ed efficacia dovrà inoltre essere coordinato con la formazione in ambito universitario al fine di arricchire la preparazione del giurista con una cultura della soluzione dei conflitti pacifica e co-esistenziale.

Il principio mira alla revisione dei percorsi formativi teorici e pratici per i mediatori, ma anche alla istituzione di obblighi formativi per i responsabili degli organismi, nonché alla previsione di percorsi formativi rivolti ad avvocati e consulenti al fine di promuovere e consolidare la cultura della mediazione; non senza individuare i criteri per l’innalzamento degli standard di solidità, professionalità ed efficienza richiesti agli organismi di mediazione e agli enti di formazione al fine di garantire la massima qualità nell’espletamento delle procedure di mediazione con la previsione di una disciplina transitoria con profili ad esaurimento e termini congrui per consentire adeguamento ai nuovi più elevati standard.

Inoltre, vigilanza, supporto e monitoraggio anche statistico da parte del Ministero della giustizia costituiscono attività essenziali che richiedono una revisione ed un coordinamento della normativa vigente anche al fine di stimolare ed orientare le buone prassi e l’avvio di protocolli tra gli operatori.

Il principio mira a facilitare la scelta della procedura di negoziazione anche con riferimento all’uso di modelli standard predisposti uniformemente.

Il complesso sistema normativo delle procedure stragiudiziali di composizione delle liti necessita di un intervento di riordino di tutte le discipline che sono entrate nell’ordinamento giuridico in tempi diversi e in fasi distinte dello sviluppo della cultura degli strumenti complementari alla giurisdizione. Il principio mira, pertanto, all’armonizzazione delle normative favorendone la raccolta in un unico Testo Unico che risponda a criteri di uniformità, chiarezza e semplificazione nell’interesse dei destinatari.

Si propone la soppressione dell’articolo 10, il cui impianto non risulta coerente con le disposizioni proposte dalla Commissione in tema di strumenti di risoluzione delle controversie complementari alla giurisdizione. In particolare, tale disposizione prevede l’introduzione di un procedimento stragiudiziale alternativo alla mediazione che, di converso, le proposte formulate intendono conservare e rafforzare.

    » NORMA DI LEGGE DELEGA   

   Articolo 2

(Strumenti di risoluzione delle controversie complementari alla giurisdizione)

1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche alla disciplina della procedura di mediazione e della negoziazione assistita sono adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) incrementare e semplificare il regime degli incentivi economici e fiscali di cui agli articoli 17 e 20 del decreto legislativo del 4 marzo 2010, n. 28, per le parti che partecipano alle procedure di mediazione con:

  1. l’aumento dell’esenzione dall’imposta di registro di cui all’articolo 17.3 del decreto legislativo 10 marzo 2010, n. 28;
  2. 2) la semplificazione della procedura di riconoscimento del credito di imposta previsto dall’articolo 20 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, e l’incremento del relativo importo, ivi prevedendo anche il compenso dovuto all’avvocato che assiste il cliente in mediazione nei limiti previsti dai vigenti parametri professionali;
  3. 3) il rimborso totale o parziale del contributo unificato sostenuto dalle parti che concludono con l’accordo una procedura di mediazione che comporti l’estinzione del giudizio;

b) prevedere il patrocinio a spese dello Stato per le spese di assistenza legale con riferimento alle procedure di mediazione e di negoziazione assistita;

c) prevedere il rimborso agli organismi di mediazione delle spese di mediazione non corrisposte dalle parti che beneficiano del patrocinio a spese dello Stato, anche attraverso un credito di imposta in favore degli organismi per gli importi non corrisposti;

d) riformare le spese di avvio della procedura di mediazione e le indennità spettanti agli organismi di mediazione di cui ai commi 4, 5-bis e 7 dell’articolo 17 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, anche in relazione alle spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, anche prevedendo una congrua indennità per lo svolgimento del primo incontro nel rispetto del principio di effettività e criteri di calcolo delle indennità per la prosecuzione della procedura oltre il primo incontro;

e) estendere la previsione della mediazione come condizione di procedibilità di cui al comma 1-bis dell’articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, alle controversie relative ai contratti di agenzia, associazione in partecipazione, consorzio, franchising, opera, rete, somministrazione, società di persone, subfornitura, fatti salvi i casi per i quali la legge preveda altre procedure obbligatorie di soluzione stragiudiziale delle controversie; in conseguenza di questa estensione rivedere la formulazione dello stesso comma 1-bis dell’articolo 5 del decreto legislativo citato. Prevedere, altresì, che dopo cinque anni dall’entrata in vigore del decreto legislativo che estende la mediazione come condizione di procedibilità si proceda a una verifica, alla luce delle risultanze statistiche, dell’opportunità della permanenza della procedura di mediazione come condizione di procedibilità;

f) escludere il ricorso obbligatorio alla negoziazione assistita nel settore della circolazione stradale;

g) prevedere la possibilità di ricorrere alla mediazione e alla negoziazione assistita nelle controversie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile con gli effetti previsti dall’ultimo comma dell’articolo 2113 del codice civile, senza che le stesse costituiscano condizione di procedibilità dell’azione;

h) valorizzare e incentivare la mediazione demandata dal giudice di cui al secondo comma dell’articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, in un regime di collaborazione necessaria fra gli uffici giudiziari, l’università, l’avvocatura, gli organismi di mediazione, gli enti e le associazioni professionali e di categoria sul territorio che realizzi stabilmente la formazione degli operatori e il monitoraggio delle esperienze, la tracciabilità dei provvedimenti giudiziali che demandano le parti alla mediazione;

i) semplificare le norme relative allo svolgimento della procedura di mediazione che dovrà essere ispirata ai principi di effettività e partecipazione personale delle parti con l’assistenza obbligatoria degli avvocati, nonché al reale confronto sul conflitto, anche qualora la mediazione sia svolta telematicamente, con previsione di provvedimenti conseguenziali alla inottemperanza agli obblighi;

j) precisazione sull’onere di attivare la mediazione a seguito dei procedimenti speciali, in particolare chiarendo definitivamente l’obbligo a carico dell’opposto nella mediazione a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo;

k) prevedere che le parti possano convenire, al momento della nomina dell’esperto ai sensi dell’articolo 8, quarto comma, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, che la relazione tecnica possa essere acquisita nel corso dell’eventuale successivo giudizio, fermo restando il potere del giudice in ordine alla sua valutazione, all’eventuale rinnovo del giuramento, all’integrazione dei quesiti;

l) prevedere e incentivare la partecipazione della Pubblica Amministrazione, anche secondo i principi già espressi nell’articolo 21, secondo comma, decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76;

m) prevedere che in relazione al procedimento di mediazione la responsabilità dei soggetti che sottoscrivono un accordo di conciliazione e che sono sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, sia limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente sia da lui dolosamente voluta e che detta limitazione di responsabilità non debba applicarsi per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente;

n) riformare la disciplina sulla formazione dei mediatori e potenziare i requisiti di qualità e trasparenza degli organismi di mediazione, degli enti di formazione in mediazione, il sistema di controllo sull’attività degli organismi di mediazione e dei mediatori tramite la revisione dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, e del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180, in particolare prevedendo:

  1. la definizione dei requisiti minimi di solidità finanziaria, efficienza, specializzazione dell’oggetto sociale e trasparenza richiesti agli organismi di mediazione e agli di enti di formazione al fine di garantire la massima qualità del servizio di mediazione e della formazione dei mediatori;
  2. la revisione dei criteri di valutazione della idoneità e degli obblighi del responsabile dell’organismo di mediazione e del responsabile scientifico dell’ente di formazione nonché prevedere un numero massimo di organismi di mediazione ed enti di formazione per i quali si può svolgere detta funzione;
  3. la revisione della disciplina della formazione base e di aggiornamento dei mediatori, aumentando la durata della stessa;
  4. la revisione dei criteri di idoneità per l’accreditamento dei formatori teorici e pratici;
  5. l’aggiornamento dei formatori in mediazione affidato alle università anche in collaborazione con gli enti di formazione accreditati;
  6. una disciplina transitoria con profili ad esaurimento e termini congrui per consentire l’adeguamento ai nuovi più elevati standard;
  7. una nuova disciplina di vigilanza, supporto e monitoraggio anche statistico da parte del Ministero della giustizia con il supporto di esperti e la redazione di protocolli di qualità;

o) semplificare la procedura di negoziazione assistita, anche prevedendo che, salvo diverse intese tra le parti, sia utilizzato un modello di convenzione elaborato dal Consiglio Nazionale Forense;

p) armonizzare la normativa in materia di mediazione con altre procedure stragiudiziali di risoluzione delle controversie previste dalla legge e allo scopo riunire tutte le discipline in un testo unico degli strumenti complementari alla giurisdizione (TUSC).

    » ARTICOLATO   

L’articolo 20 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, è modificato come segue:

"Articolo 20
(Credito d’imposta)

  1. Alle parti che corrispondono l’indennità ai soggetti abilitati a svolgere il procedimento di mediazione presso gli organismi è riconosciuto, in caso di prosecuzione oltre il primo incontro, un credito di imposta commisurato all’indennità stessa fino alla concorrenza di 600 euro, nel limite di spesa di XX milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2022.
  2. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro il 30 marzo 2021, sono stabiliti le modalità e la documentazione da esibire a corredo della richiesta del credito di imposta e i controlli sull’autenticità della stessa.
  3. Il Ministero della giustizia comunica all’interessato, entro il 30 aprile di ciascun anno successivo a quello di corresponsione dell’indennità di cui al comma 1, l’importo del credito di imposta effettivamente spettante in relazione ai procedimenti conclusi, determinato in misura proporzionale alle risorse stanziate e trasmette, in via telematica, all’Agenzia delle entrate, l’elenco dei beneficiari e i relativi importi a ciascuno comunicati.
  4. Il credito di imposta deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi ed è utilizzabile a decorrere dalla data di ricevimento della comunicazione di cui al comma 3 del presente articolo, in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, nonché, da parte delle persone fisiche non titolari di redditi di impresa o di lavoro autonomo, in diminuzione delle imposte sui redditi. Il credito di imposta non dà luogo a rimborso e non concorre alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, né del valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive e non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni.
  5. Per l’attuazione del presente articolo è autorizzata la spesa di XX milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2022. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.”.

All’articolo 21-bis del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, le parole "fino a concorrenza di 250 euro, nel limite di spesa di 5 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2016" sono sostituite dalle seguenti: "fino a concorrenza di 600 euro, nel limite di spesa di XX milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2022";

b) il comma 5 è sostituito dal seguente: “5. Per l’attuazione del presente articolo è autorizzata la spesa di XX milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2022. Ai conseguenti oneri si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo di cui all'articolo 1, comma 96, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.”.

Sommario: 1. Giudizio di primo grado. – 2. Fase introduttiva e di trattazione. – 2.1. Proposta A. – 2.2. Proposta B. – 2.3. Fase decisoria. – 3. Appello. – 4. Giudizio in Cassazione. – 4.1. Copertura organico in Cassazione. – 4.2. Rinvio pregiudiziale in Cassazione. – 5. Interventi sul codice di procedura civile. – 5.1. Articolo 37 c.p.c. (Difetto di giurisdizione) – 5.2. Competenza del giudice di pace. – 6. Articolo 22 delle disposizioni per l’attuazione del c.p.c. – 7. Stabilizzazione della normativa emergenziale. – 8. Principio di sinteticità. – 9. Autorità amministrative indipendenti.

Con riferimento al giudizio di primo grado e in un’ottica di semplificazione della disciplina processuale e di razionalizzazione delle risorse, si è ritenuto opportuno intervenire, anzitutto, sulle ipotesi che, secondo l’attuale formulazione dell’articolo 50-bis c.p.c., sono attribuite alla trattazione del tribunale in composizione collegiale, prevedendo che il legislatore delegato provveda alla relativa riduzione (cfr. l’articolo 4, lettera a)).

L’obiettivo è di riservare la trattazione collegiale ad un numero limitato di ipotesi, che giustificano ciò esclusivamente in ragione dell’oggettiva complessità giuridica e della rilevanza economico-sociale delle controversie.

Inoltre, sempre in un’ottica di semplificazione della disciplina processuale e dell’attività istruttoria del giudice, la delega propone di puntualizzare che l’applicazione del principio della no contestazione, già introdotto con la legge 18 giugno 2009, n. 69, nel comma 1 dell’articolo 115 c.p.c., riguardi le controversie su diritti disponibili e di estenderlo anche all’ipotesi in cui vi sia la contumacia della parte. In questa direzione si muove la proposta di prevedere che, in materia di diritti disponibili, siano non bisognosi di prova per il giudice comunque i fatti allegati da una parte e non specificatamente contestati dalla controparte, anche laddove la non specifica contestazione sia l’effetto della contumacia.

Strettamente connessa con l’operare del principio della non contestazione è anche la questione – lasciata irrisolta dalla riforma del 2009 e fonte di divergenti orientamenti in sede applicativa – del termine entro il quale la parte possa esercitare la specifica contestazione dei fatti allegati dalla controparte. A questo fine la delega propone di introdurre, come regola generale, la previsione secondo cui la specifica contestazione vada effettuata, a pena di decadenza, nel primo atto difensivo successivo a quello in cui vi sia stata l’allegazione dei fatti in giudizio con riferimento ai quali va esercitato l’onere di contestazione.

L’estensione della non contestazione anche al contumace impone di rivedere anche la previsione attualmente contenuta nell’articolo 186-bis c.p.c. sull’ordinanza di condanna al pagamento delle somme non contestate, in quanto anche in questo caso attualmente si limitano gli effetti della non contestazione solo nei confronti della parte costituita. Peraltro, al fine di aprire ad una maggiore utilizzabilità pratica dell’ordinanza anticipatoria in questione, la delega sollecita a prevedere che la sua pronuncia possa riguardare qualunque oggetto della domanda (pagamento di somme di denaro, consegna di cose mobili o rilascio di beni immobili, obblighi di fare o di non fare). In conformità a ciò un’identica soluzione viene prospettata in relazione all’ordinanza di cui all’articolo 423 c.p.c. per il processo del lavoro.
All’obiettivo di rendere più celere ed efficiente lo svolgimento dell’attività processuale risponde anche la prevista introduzione nel codice di procedura civile e con portata generale del principio di chiarezza e sinteticità degli atti processuali di parte e dei provvedimenti giudiziali. Peraltro, si è ritenuto opportuno, anche alla luce della giurisprudenza sovranazionale e costituzionale interna, inserire nella legge delega la previsione secondo cui, per quanto riguarda gli atti di parte, la violazione di tale principio non possa comportare sanzioni di invalidità o di inammissibilità dell’atto, ma possa essere presa in considerazione dal giudice solo ai fini della liquidazione delle spese giudiziali.

Sempre nell’ottica dell’accelerazione e della semplificazione del giudizio di primo grado viene conferita delega perché il legislatore delegato provveda a rinominare e adeguatamente modificare l’attuale «procedimento sommario di cognizione», introdotto negli articoli 702-bis, 702-ter e 702-quater c.p.c. dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, trasformandolo in un processo semplificato applicabile, come rito obbligatorio, alle controversie meno complesse. L’obiettivo della delega è di fare in modo che, ad esclusione delle controversie sottoposte a riti speciali, tutte le altre controversie civili siano sottoponibili in primo grado – a seconda della loro complessità – o al rito ordinario già esistente o a quello semplificato di nuovo conio. Ed in tale prospettiva si giustifica anche la previsione della sua collocazione nell’ambito del libro secondo del codice di procedura civile. In particolare, la delega prevede di rendere applicabile come rito obbligatorio il procedimento semplificato alle controversie di competenza del giudice di pace (salve le disposizioni specifiche attualmente previste dagli articoli 313, 316 e 317 del codice di procedura civile) ed a quelle, di competenza del tribunale in composizione monocratica, che comunque riguardino fatti non controversi o presentino un’istruzione basata soltanto su prove documentali o di pronta soluzione o che, secondo la valutazione del giudice, richiedano un’attività istruttoria costituenda non complessa. Questa previsione ha l’obiettivo di evitare che anche per le controversie di competenza del giudice di pace, la cui natura non complessa ne ha giustificato nel 1991 l’attribuzione al giudice onorario, e comunque per quelle non complesse davanti al tribunale in composizione monocratico debba applicarsi – come accade oggi – il processo ordinario di cognizione, di per sé pensato per controversie che presentino una maggiore complessità. E, di conseguenza, che la trattazione delle controversie di competenza del giudice di pace e di quelle meno complesse di competenza del tribunale monocratico sia improntata alla rigidità propria del rito ordinario, come accade oggi. Ciò con inevitabile risparmio dei tempi processuali, in particolare per la fase introduttiva e di trattazione del giudizio. D’altro canto, l’inserimento fra i principi di delega della previsione secondo cui tutte le controversie di competenza del giudice di pace siano sottoposte alla disciplina del rito semplificato determinerà anche la riconduzione ad un rito unitario di queste controversie, per le quali oggi è prevista sia l’applicazione del rito di cui agli articoli 311-321 c.p.c., sia l’applicazione di altri riti speciali previsti dal decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150.

La stessa delega prevede anche che, laddove il giudice rilevi l’insussistenza delle condizioni per l’applicazione del procedimento semplificato anche a seguito della proposizione della domanda riconvenzionale, debba disporre d’ufficio la conversione del rito da semplificato in ordinario (o nel rito speciale), anche, se del caso, davanti al tribunale in composizione collegiale.

Quanto alla sua disciplina, essa dovrà indicare precisi termini per lo svolgimento delle difese delle parti, sia pure più brevi di quelli previsti per il procedimento ordinario, e il maturare delle relative preclusioni, evitando che l’articolazione del procedimento sia rimessa alla discrezionalità del giudice. Dovrà, inoltre, prevedere che il procedimento si concluda con sentenza appellabile entro trenta giorni dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione.

La delega propone anche di prevedere che le controversie introdotte con il procedimento ordinario possano essere convertite d’ufficio dal giudice nel nuovo procedimento semplificato, ove egli ritenga che sussistano dette condizioni, e che, conseguentemente, siano modificate le disposizioni del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, individuando i procedimenti speciali disciplinati dal codice di procedura civile, dal codice civile e dalle leggi speciali da assoggettare sempre al procedimento semplificato in questione.

Finalità acceleratorie e di semplificazione della decisione ha anche la delega al legislatore delegato ad introdurre nel libro IV del codice di procedura civile, nell’ambito delle controversie su diritti disponibili, un provvedimento sommario e provvisorio, con efficacia esecutiva, ispirato ad alcuni esempi della legislazione di altri ordinamenti (come, ad esempio, il référé provision di cui all’articolo 809 del code de procédure civile francese o il summary judgment di cui all’articolo 24 delle civil procedure rules anglosassoni) e modellato sulle fattispecie di c.d. condanna con riserva delle difese del convenuto, già prevista nel nostro ordinamento (cfr. gli articoli 1462 c.c. e 35, 648 e 665 c.p.c.). Il presupposto per la pronuncia di questo provvedimento sommario e provvisorio, infatti, è configurato dal raggiungimento della prova dei fatti costitutivi della domanda e dalla valutazione giudiziale di manifesta infondatezza delle difese del convenuto. La delega prevede, poi, che il provvedimento in questione possa essere pronunciato, con funzione anticipatoria, nel corso del processo di primo grado oppure, in via autonoma, prima dell’inizio del processo (seguendo il procedimento sommario di cui all’articolo 669-sexies, comma 1, c.p.c. e provvedendo alla liquidazione delle spese giudiziali) e che l’ordinanza di accoglimento sia reclamabile ai sensi dell’articolo 669-terdecies c.p.c., e non sia comunque idonea ad acquisire efficacia di giudicato ai sensi dell’articolo 2909 c.c.

Infine, viene conferita la delega perché il legislatore delegato provveda, in materia di compensazione delle spese giudiziali, a riformulare l’articolo 92, comma 2, c.p.c. alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 77/2018 e, in materia di applicazione del meccanismo sanzionatorio di cui all’articolo 96, comma 3, c.p.c., ad introdurre criteri più chiari con riferimento sia al presupposto soggettivo, sia all’ammontare massimo della somma liquidata dal giudice a favore della controparte e della cassa ammende.

   Articolo 4

(Ulteriori disposizioni in materia di processo di cognizione di primo grado)

1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cognizione di primo grado sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

a) ridurre i casi in cui il tribunale giudica in composizione in composizione collegiale, tenendo conto esclusivamente dell’oggettiva complessità giuridica e della rilevanza economico-sociale delle controversie;

b) prevedere che, in materia di diritti disponibili:

  1. 1) il giudice ponga a base della sua decisione i fatti non specificatamente contestati dalle parti;
  2. 2) la specifica contestazione dei fatti allegati dalle parti debba avvenire a pena di decadenza nel primo atto scritto difensivo successivo alla allegazione;

c) prevedere l’introduzione, in via generale, del principio di chiarezza e sinteticità degli atti di parte e dei provvedimenti del giudice e, con riferimento alla sua applicazione agli atti di parte, prevedere che la sua violazione:

  1. 1) non comporti sanzioni di invalidità o di inammissibilità degli stessi;
  2. 2) rilevi ai fini della liquidazione delle spese giudiziali;

d) prevedere che:

  1. 1) l’ordinanza di cui all’articolo 186-bis del codice di procedura civile, ridenominata “Ordinanza di condanna per non contestazione”, sia pronunciabile, nelle controversie su diritti disponibili, anche quando la non contestazione sia attribuibile alla parte non costituita in giudizio;
  2. 2) la sua applicazione sia possibile a prescindere dall’oggetto della domanda;

e) prevedere che l’attuale “Procedimento sommario di cognizione”, ridenominato “Procedimento semplificato di cognizione”:

  1. sia inserito nel libro II del codice di procedura civile, previa abrogazione dell’attuale formulazione degli articoli 702-bis, 702-ter e 702-quater c.p.c.;
  2. sia applicabile a tutte le controversie di competenza del giudice di pace, salve le disposizioni specifiche attualmente previste dagli articoli 313, 316 e 317 del codice di procedura civile, anche di quelle attualmente previste nel decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, e attribuite alla competenza del giudice di pace;
  3. sia inoltre applicabile nelle controversie di competenza del tribunale in composizione monocratica quando i fatti di causa siano tutti non controversi, quando l’istruzione della causa si basi su prova documentale o di pronta soluzione o richieda un’attività istruttoria costituenda non complessa, stabilendo che, in difetto, la causa sarà trattata con il rito ordinario di cognizione, anche davanti al tribunale in composizione collegiale, e che nello stesso modo si procederà ove sia avanzata domanda riconvenzionale priva delle condizioni di applicabilità del procedimento semplificato;
  4. sia disciplinato mediante l’indicazione di termini e tempi prevedibili e più ridotti di quelli previsti per il rito ordinario per lo svolgimento delle difese e il maturare delle preclusioni, nel rispetto del contraddittorio fra le parti;
  5. sia deciso con sentenza, appellabile nei trenta giorni dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore;

f) prevedere altresì che, ove la causa sia introdotta con il rito ordinario e sussistano le condizioni per applicare il procedimento semplificato, il giudice adito con il rito ordinario disponga che la trattazione prosegua con il procedimento semplificato;

g) prevedere che siano modificate le disposizioni del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, individuando i procedimenti speciali disciplinati dal codice di procedura civile, dal codice civile e dalle leggi speciali da assoggettare al procedimento semplificato di cognizione, oltre a quelli di competenza del giudice di pace;

h) prevedere che, in materia di compensazione delle spese giudiziali, l’articolo 92, secondo comma, del codice di procedura civile sia riformulato alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 77/2018;

i) prevedere che la condanna di cui all’articolo 96, terzo comma, del codice di procedura civile:

  1. possa essere pronunciata nei confronti della parte soccombente che abbia agito per dolo o colpa grave;
  2. possa essere disposta dal giudice anche d’ufficio, a favore della controparte, per una somma equitativamente determinata, comunque non superiore al doppio delle spese liquidate e, a favore della cassa ammende, per una somma non superiore nel massimo a cinque volte il contributo unificato;
  3. j) prevedere, all’interno del libro IV del codice di procedura civile e, in particolare, nel capo III-bis, ridenominato “Ordinanza di condanna con riserva”, che:

    1. prima dell’inizio del processo di cognizione e nel corso del giudizio di primo grado, con riferimento alle controversie di competenza del tribunale in materia di diritti disponibili, il giudice possa, su istanza di parte, pronunciare ordinanza provvisoria di accoglimento, in tutto o in parte, della domanda proposta, nel caso in cui i fatti costitutivi siano provati e le difese del convenuto appaiano manifestamente infondate;
    2. l’ordinanza di accoglimento sia reclamabile ai sensi dell’articolo 669-terdecies del codice di procedura civile e non acquisti mai efficacia di giudicato ai sensi dell’articolo 2909 del codice civile, né possa avere autorità in altri processi;
    3. per la pronuncia prima dell’inizio del processo, si utilizzi il procedimento di cui all’articolo 669-sexies, primo comma, del codice di procedura civile e sia prevista anche la liquidazione delle spese giudiziali.

2.1. Proposta A

La presente proposta prende le mosse dalla considerazione che la fase introduttiva e di trattazione del giudizio di primo grado, una volta fissato il mantenimento del rito ordinario accanto a quello semplificato, non postula, di per sé, nessuna modifica. È fin troppo noto che i ritardi dipendono essenzialmente dalle difficoltà organizzative e di gestione della macchina giudiziaria e, in specie, dalla sproporzione fra il volume del contenzioso e il numero dei magistrati.

In particolare, l’attuale rito di cognizione ordinario è stato più volte oggetto di modifiche normative: la sistemazione vigente ha regole e principi consolidati, anche alla luce delle interpretazioni giurisprudenziali, e costituisce un adeguato punto di equilibrio fra il sistema delle preclusioni e il diritto di difesa. Né dalla dottrina né dagli operatori giudiziari si avverte l’esigenza di un cambio di rotta: il tono delle audizioni in sede parlamentare e alcuni autorevoli contributi, agli atti della Commissione, ne danno conferma.

Sul piano sistematico, permettere che il perimetro della materia del contendere possa essere completato in una fase successiva agli atti introduttivi è coerente con la linea interpretativa delle sezioni unite della Cassazione (a partire dalla sentenza n. 12310 del 2015), che favorisce una lettura ampia della modificazione delle domande, proprio in chiave di una complessiva economia processuale e per evitare il moltiplicarsi di giudizi in relazione alla medesima vicenda sostanziale. Allo stesso modo, anche le preclusioni istruttorie devono opportunamente collocarsi in un momento posteriore, sotto il controllo del giudice. La negativa esperienza del c.d. processo societario induce a non ripetere gli errori commessi.

Il metodo delle tre memorie successive alla prima udienza consente di affrontare in modo consono le cause più complesse: vuoi soggettivamente, per la pluralità di parti convolte, vuoi oggettivamente, per l’articolazione fattuale e probatoria della fattispecie. Si ritiene che non sia da imputare a questa fase la troppo lunga durata dei processi: le cause più semplici saranno trattate con il rito semplificato o, se iniziate con quello ordinario, vi saranno convertite, mentre per quelle più complesse la corretta amministrazione della giustizia (parametro essenziale, insieme alla rapidità, per il diritto dell’Unione europea) impone un’attenzione più delicata.

Si aggiunga che il mantenimento della struttura attuale del rito va visto insieme alle notevoli e coraggiose proposte che la Commissione ha elaborato, riformando il rito (già sommario e ora) semplificato, introducendo una diversa e più radicale efficacia del principio di non contestazione, favorendo la sinteticità degli atti di causa e stabilizzando gli aspetti positivi delle nuove modalità di udienza della fase emergenziale. Che poi il rito ordinario debba mantenere caratteristiche diverse da quello semplificato, in cui le preclusioni maturano già nella fase iniziale del processo, è soluzione in linea con l’unanime opinione della Commissione di mantenere una netta distinzione fra le due forme, andando col che di diverso avviso rispetto alla soluzione prospettata nel testo originario del disegno di legge delega AS 1662.

In questo contesto, è apparso nondimeno opportuno suggerire alcune modifiche, volte ad incrementare la flessibilità della fase qui considerata, seguendo, anche in questo caso, indicazioni raccolte dai soggetti interpellati nelle audizioni.

In primo luogo, è parso bene rendere esplicito (seppure forse già ricavabile dal diritto vigente) che il giudice, quando ritenga che la causa possa essere immediatamente decisa, anche su una questione pregiudiziale o preliminare, di rito o di merito, possa già in prima udienza avviare il processo in decisione, senza concedere le memorie. Non sono poche le situazioni che già possono essere rilevate in questo modo, sulla semplice scorta delle deduzioni assertive delle parti contenute negli atti introduttivi.

In secondo luogo, si è voluto offrire al giudice un ulteriore strumento di semplificazione, attribuendogli il potere di modulare i termini per il deposito delle memorie, fino alla metà di quelli attuali, senza altro vincolo se non quello di tenere conto delle circostanze del caso.

Il giudice, a condizione che abbia potuto studiare adeguatamente il fascicolo (ma ciò non dipende dalle regole processuali), è quindi in grado, in prima udienza, di disporre di una gamma di soluzioni diversificate, al fine della più efficace trattazione della lite: avviare subito la causa in decisione, convertire la trattazione nel rito semplificato, concedere i termini per le memorie o dimezzarli (oltre che formulare una proposta conciliativa o mandare le parti in mediazione).

L’adozione complessiva di questa proposta consente di ottenere un cospicuo risparmio di tempi processuali, pur senza diminuire il livello della difesa in giudizio, secondo i parametri dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dell’articolo 6 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Avviare subito la causa in decisione permette una riduzione dei tempi di giudizio che può essere stimata mediamente fino a trecento giorni, atteso che viene evitato l’espletamento di attività istruttorie che, a posteriori, si rivelano non necessarie al fine del decidere.

La facoltà di ridurre i termini per le memorie dimezzando quelli attuali, a sua volta, comporta automaticamente un risparmio fino a quaranta giorni.

   1. Articolo 3

(Processo di cognizione di primo grado)

1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cognizione di primo grado sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

a) prevedere, nell’ambito del libro secondo del codice di procedura civile, che il giudice in prima udienza:

  1. quando ritenga che la causa possa essere immediatamente decisa, anche su una questione pregiudiziale o preliminare, di rito o di merito, inviti le parti a precisare le conclusioni ed avvii la causa in decisione;
  2. in ogni caso, ferme restando quanto al contenuto le tre memorie come previste dall’attuale articolo 183, sesto comma, del codice di procedura civile ove le parti ne richiedano la concessione, possa modulare i relativi termini da un massimo di ottanta fino ad un minimo di quaranta giorni complessivi, tenuto conto delle circostanze di causa.

L’articolo in esame detta i principi per la revisione della fase introduttiva del giudizio di cognizione dinanzi al tribunale.

L’obiettivo è realizzare una maggiore concentrazione delle attività nell’ambito della prima udienza di comparizione delle parti e di trattazione della causa, attraverso una revisione dei diversi snodi nei quali questa fase attualmente si svolge.

In particolare, sulla base del regime attuale, l’atto di citazione deve contenere, tra l’altro, la determinazione della cosa oggetto della domanda e l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni. L’indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l’attore intende valersi e dei documenti che offre in comunicazione non è invece prevista a pena di decadenza.

Specularmente, il convenuto è onerato di costituirsi venti giorni prima della udienza indicata in citazione ovvero differita ai sensi dell’articolo 168-bis c.p.c. soltanto ove proponga domande riconvenzionali, eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio ovvero se intenda chiamare in causa un terzo e conseguentemente provocare il differimento dell’udienza da parte del giudice istruttore. Anche per il convenuto, dunque, l’indicazione dei mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione non è formulata a pena di decadenza.

Sulla base di tale assetto degli atti introduttivi del giudizio è costruita la prima udienza di comparizione delle parti e di trattazione della causa (articolo 183 c.p.c.), nel corso della quale l’attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto e può, sempre se tale esigenza sia sorta dalle difese del convenuto, chiedere di essere autorizzato a chiamare un terzo.

Infine, se richiesto, il giudice “concede” alle parti i termini, di natura perentoria, per la precisazione e la modificazione delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte e per la definitiva indicazione dei mezzi di prova, anche in replica.

Conformemente al dettato normativo, la concessione dei termini di cui all’articolo 183, sesto comma, c.p.c. è, sostanzialmente, obbligatoria, potendo, per come affermato dalla giurisprudenza, essere omessa (con conseguente invio della causa in decisione) soltanto ove sussistano questioni pregiudiziali o preliminari del tutto assorbenti.

Come si vede, un sistema siffatto comporta che, al momento della prima udienza di comparizione delle parti e di trattazione della causa, non sia ancora definito né il thema decidendum né il thema probandum della controversia. Conseguentemente, detta udienza si risolve, nella maggior parte dei casi, in una mera concessione dei termini di cui all’articolo 183, sesto comma, c.p.c., accompagnata dal rinvio della causa ad una udienza di ammissione dei mezzi di prova, fissata, in considerazione dei ruoli gravanti sui singoli magistrati, a distanza anche di diversi mesi.

Inoltre, un siffatto sistema disincentiva, da un lato, le parti ad una reale ed informata partecipazione all’udienza e, dall’altro, il giudice ad un attento studio preliminare dei fascicoli. D’altra parte, la mancata, esatta definizione del perimetro assertivo e probatorio della causa rende difficoltoso per il giudice formulare, già in sede di prima udienza, proposte conciliative.

Il sistema proposto interviene, dunque, su tali disfunzioni, valorizzando e rendendo centrale la prima udienza di comparizione delle parti e di trattazione della causa.

Viene, infatti, previsto che l’attore debba indicare, a pena di decadenza, sin dall’atto di citazione i mezzi di prova di cui intende valersi ed i documenti che offre in comunicazione. Parimenti, il convenuto è onerato, nella comparsa di risposta da depositarsi in epoca anteriore alla prima udienza di comparizione indicata nell’atto di citazione ovvero differita dal giudice, non solo di proporre domande riconvenzionali e eccezioni non rilevabili di ufficio e di provvedere alla chiamata in causa di terzi, ma anche di indicare i mezzi di prova di cui intende valersi ed i documenti che offre in comunicazione.

Sulla scorta del nuovo contenuto degli atti introduttivi delle parti, muta anche la conformazione della prima udienza di comparizione delle parti e di trattazione della causa. Nel corso della stessa, le parti potranno invero precisare le domande e le eccezioni già proposte e indicare i mezzi di prova contraria.

Per gran parte del contenzioso, essendo completamente definito il thema decidendum ed il thema probandum in epoca anteriore alla prima udienza (o, comunque, definito in detta udienza), il giudice potrà anche formulare una proposta conciliativa, provvedere sulle istanze istruttorie previa eventuale formulazione del calendario del processo (che potrà essere effettivamente concordato con le parti già in udienza), invitare le parti alla discussione orale della causa, rinviare ad altra udienza per l’assegnazione della causa medesima a sentenza. Come si vede, tutte le attività oggi articolate a valle della udienza (in conseguenza dell’assegnazione dei termini di cui all’articolo 183, sesto comma, c.p.c.) vengono in essa concentrate.

Una simile concentrazione non si applica esclusivamente ai giudizi che si presentino formalmente complessi.

Infatti, viene previsto che, alla prima udienza, l’attore (oltre che chiedere di essere autorizzato alla chiamata in causa di terzi, ciò che rende necessaria la fissazione di una nuova prima udienza di comparizione delle parti e di trattazione della causa) possa proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto. In tal caso, le parti potranno richiedere l’assegnazione di termini perentori per la precisazione delle domande, delle eccezioni e per l’indicazione dei mezzi di prova che siano connesse a tali domande o eccezioni ed un termine per la replica alle domande ed eccezioni modificate e per l’indicazione dei mezzi di prova contrari. In tali casi, il giudice concederà, previa verifica che la richiesta dipenda dalle domande e dalle eccezioni svolte in udienza, i termini e riserverà la decisione sui mezzi di prova: l’ordinanza potrà essere emanata nel termine di trenta giorni dalla scadenza dei termini.

La riduzione della durata dei procedimenti civili derivante dalla nuova formulazione delle norme appare significativa. Infatti, viene eliminato l’automatismo che comporta, per ogni giudizio ed a prescindere dalla complessità della controversia, l’assegnazione dei termini per il completamento dell’attività assertiva e probatoria, riservando la “appendice scritta” a valle della prima udienza ai soli casi in cui essa sia effettivamente giustificata dalla attività processuale svolta.

D’altra parte, si giunge ad una piena responsabilizzazione di tutti gli attori del processo: da un lato, dei difensori che saranno onerati della indicazione anche dei mezzi di prova sin dai primi atti del processo e della consapevole partecipazione alla prima udienza; dall’altro, dei giudici i quali, avendo già completamente chiaro il perimetro della controversia, dovranno concentrare tutte le attività processuali (studio del fascicolo, valutazione degli atti, formulazioni di proposte conciliative, ammissione dei mezzi di prova, invio della causa in decisione) nella prima udienza.

   2.2 Articolo 3

(Processo di cognizione di primo grado)

1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cognizione di primo grado sono adottati con l’osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi:

a) prevedere che l’atto introduttivo abbia la forma dell’atto di citazione a comparire ad udienza fissa;

b) prevedere che, nell’atto di citazione, l’attore, oltre alle indicazioni oggi contenute nell’articolo 163 c.p.c., debba:

  1. esporre, in maniera chiara e specifica, i fatti e gli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni;
  2. indicare, in modo specifico ed a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende valersi ed allegare i documenti che offre in comunicazione;
  3. avvertire espressamente il convenuto che la contumacia implicherà, per le cause aventi ad oggetto diritti disponibili, la non contestazione dei fatti posti a fondamento della domanda;

c) prevedere che, una volta formato il fascicolo telematico d’ufficio, la designazione del giudice istruttore avvenga sulla base di criteri automatici e predeterminati sull’applicazione dei quali ha la vigilanza il dirigente dell’ufficio che ne è responsabile;

d) prevedere che il convenuto, nella comparsa di risposta, debba, a pena di decadenza:

  1. prendere posizione, in maniera precisa e specifica e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti posti dall’attore a fondamento della domanda;
  2. proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio e, ove intenda chiamare un terzo in causa, farne dichiarazione nella comparsa di risposta e chiedere al giudice il differimento dell’udienza nel rispetto dei termini a comparire;
  3. indicare i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione;

e) prevedere che, nel corso della prima udienza di comparizione delle parti e di trattazione della causa:

  1. l’attore possa proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto;
  2. le parti possano indicare mezzi di prova contraria;
  3. il giudice formuli una proposta conciliativa; ammetta i mezzi di prova richiesti dalle parti, eventualmente provvedendo con ordinanza emanata fuori udienza e pronunziata entro trenta giorni; inviti le parti a precisare le conclusioni alla stessa udienza ovvero in altra alla quale rinvia la causa;
  4. il giudice, ove la parte attrice abbia svolto domande riconvenzionali o sollevato eccezioni che siano conseguenza delle difese del convenuto, conceda, quando le parti ne chiedano l’assegnazione e previa verifica che la richiesta dipenda dallo svolgimento di detta attività, di un termine per la precisazione delle domande, delle eccezioni e per l’indicazione dei mezzi di prova connessi a tali attività e di un ulteriore termine per la replica alle domande ed eccezioni precisate e per l’indicazione dei mezzi di prova contrari, riservando la decisione sui mezzi di prova;
  5. le parti, ove il giudice disponga d’ufficio mezzi di prova, possano dedurre, entro un termine perentorio assegnato dal giudice, i mezzi di prova che si rendono necessari.

    » ARTICOLATO

[I]. La domanda si propone mediante citazione a comparire a udienza fissa.

[II]. Il presidente del tribunale stabilisce al principio dell’anno giudiziario, con decreto approvato dal primo presidente della corte di appello, i giorni della settimana e le ore delle udienze destinate esclusivamente alla prima comparizione delle parti.

[III]. L’atto di citazione deve contenere:

  1. l’indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta;
  2. il nome, il cognome, la residenza e il codice fiscale dell’attore, il nome, il cognome, il codice fiscale, la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono. Se attore o convenuto è una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, la citazione deve contenere la denominazione o la ditta, con l’indicazione dell’organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio;
  3. la determinazione della cosa oggetto della domanda;
  4. l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni;
  5. a pena di decadenza, l’indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l’attore intende valersi e dei documenti che offre in comunicazione;
  6. il nome e il cognome del procuratore e l’indicazione della procura, qualora questa sia stata già rilasciata;
  7. l’indicazione del giorno dell’udienza di comparizione; l’invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’articolo 166, nell’udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell’articolo 168-bis, con l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167 e la non contestazione dei fatti allegati nell’atto di citazione.

[IV]. L’atto di citazione, sottoscritto a norma dell’articolo 125, è consegnato dalla parte o dal procuratore all’ufficiale giudiziario, il quale lo notifica a norma degli articoli 137 e seguenti.

[I]. Nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese, indicare le proprie generalità e il codice fiscale, formulare le conclusioni.

[II]. A pena di decadenza deve:

  1. prendere posizione, in maniera precisa e specifica e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti posti dall’attore a fondamento della domanda;
  2. proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio. Se è omesso o risulta assolutamente incerto l’oggetto o il titolo della domanda riconvenzionale, il giudice, rilevata la nullità, fissa al convenuto un termine perentorio per integrarla. Restano ferme le decadenze maturate e salvi i diritti acquisiti anteriormente alla integrazione;
  3. indicare i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione.

[III]. Se intende chiamare un terzo in causa, deve farne dichiarazione nella stessa comparsa e provvedere ai sensi dell’articolo 269.

[I]. All’udienza fissata per la prima comparizione delle parti e la trattazione il giudice istruttore verifica d’ufficio la regolarità del contraddittorio e, quando occorre, pronuncia i provvedimenti previsti dall’articolo 102, secondo comma, dall’articolo 164, secondo, terzo e quinto comma, dall’articolo 167, secondo e terzo comma, dall’articolo 182 e dall’articolo 291, primo comma.

[II]. Quando pronunzia i provvedimenti di cui al primo comma, il giudice fissa una nuova udienza di trattazione.

[III]. Nell’udienza di trattazione, l’attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto. Può altresì chiedere di essere autorizzato a chiamare un terzo ai sensi degli articoli 106 e 269, terzo comma, se l’esigenza è sorta dalle difese del convenuto. Le parti possono precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate. Devono indicare i mezzi di prova contraria.

[IV]. Nella medesima udienza, il giudice richiede alle parti, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari; indica le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione; procede al libero interrogatorio delle parti; formula una proposta conciliativa ai sensi dell’articolo 185 eventualmente fissando altra udienza per la comparizione personale delle parti. Quindi, ammette i mezzi di prova richiesti dalle parti o vi provvede mediante ordinanza emanata fuori udienza entro i successivi trenta giorni. Il giudice istruttore può invitare le parti a precisare le conclusioni alla stessa udienza ovvero in altra alla quale rinvia la causa.

[V]. Nei casi previsti dal terzo comma, ove la parte attrice abbia svolto domande riconvenzionali ovvero sollevato eccezioni, le parti possono chiedere l’assegnazione dei seguenti termini perentori:

  1. un termine di trenta giorni per la precisazione delle domande, delle eccezioni e per l’indicazione dei mezzi di prova;
  2. un termine di trenta giorni per la replica alle domande ed eccezioni precisate e per l’indicazione dei mezzi di prova contrari.

[VI]. Nel caso di richiesta dei termini di cui al precedente comma, il giudice, verificato che detta richiesta derivi dallo svolgimento dell’attività prevista al terzo comma, riserva di provvedere e concede i predetti termini. Con ordinanza emanata nei trenta giorni successivi alla scadenza dell’ultimo termine, provvede ai sensi del quarto comma.

[VII]. Nel caso in cui il giudice disponga d’ufficio, con ordinanza, mezzi di prova, ciascuna parte può dedurre, entro un termine perentorio assegnato dal giudice con la medesima ordinanza, i mezzi di prova che si rendono necessari in relazione ai primi nonché depositare memoria di replica nell’ulteriore termine perentorio parimenti assegnato dal giudice, che si riserva di provvedere ai sensi del sesto comma.

[VIII]. Con l’ordinanza che ammette le prove il giudice può in ogni caso disporre, qualora lo ritenga utile, il libero interrogatorio delle parti.

  2.3 Fase decisoria

La proposta di modifica della fase decisoria, da inserire nell’articolo 3 della legge delega, è incentrata sull’abrogazione del modulo tradizionale di decisione delineato dall’articolo 190 c.p.c. e sull’introduzione, sia per le cause di competenza del giudice monocratico sia per le cause di competenza del collegio, di un modello uniforme di decisione nel quale il giudice, al completamento dell’istruttoria, fissa l’udienza di rimessione della causa in decisione (che per le cause nelle quali il giudice decide in composizione collegiale continuerà a celebrarsi davanti al giudice relatore), assegna un termine per il deposito telematico di note scritte contenenti la precisazione delle conclusioni, un termine di trenta e di quindici giorni prima dell’udienza di rimessione della causa in decisione per il deposito rispettivamente delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, salvo che le parti non vi rinuncino espressamente; all’esito dell’udienza la causa verrà posta in decisione dal giudice, sia in composizione monocratica che in composizione collegiale, il quale depositerà la sentenza nel termine dei successivi trenta o sessanta giorni.

L’obiettivo di questo specifico intervento è quello di realizzare una semplificazione del procedimento, al tempo stesso adottando alcune misure acceleratorie dirette ad assicurare la ragionevole durata del processo, con una riduzione dei tempi processuali di almeno ottanta giorni che, peraltro, potrebbero essere maggiori nel caso di generalizzazione del modello della discussione orale, obiettivo parimenti perseguito dalla riforma.

Davanti al tribunale che decide in composizione monocratica, infatti, permane il modello della discussione orale della causa con pronuncia della sentenza mediante lettura del dispositivo e della succinta motivazione, ma si introduce la possibilità, ove la complessità della causa lo richieda, che il giudice riservi la decisione che verrà depositata nei successivi trenta giorni, attraverso la modifica dell’articolo 281-sexies c.p.c. La possibilità di depositare la sentenza entro un termine successivo di trenta giorni consentirà di espandere la potenzialità del modello anche per quella parte del contenzioso più complesso, con ulteriore compressione dei tempi processuali.

   Articolo 3

(Processo di cognizione di primo grado)

1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cognizione di primo grado sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

[…]

[b)] / [f)] prevedere che, esaurita la trattazione ed istruzione della causa:

1) nei casi in cui il giudice decida in composizione monocratica, ove non intenda procedere secondo quanto disposto nel successivo punto n. 2), inviti le parti a precisare le conclusioni ed a discutere oralmente la causa alla stessa udienza ovvero ad altra udienza e che, al termine della discussione, pronunci sentenza dando lettura del dispositivo e della succinta motivazione ovvero, ove la complessità della causa lo richieda, con riserva della decisione che verrà depositata nei successivi trenta giorni, con contestuale modifica dell’articolo 281-sexies c.p.c.;

2) il giudice fissi l’udienza di rimessione della causa in decisione ed assegni:

   2.1. un termine perentorio fino a sessanta giorni prima della predetta udienza per il deposito telematico di note scritte di precisazione delle conclusioni; nonché

   2.2. un termine perentorio fino a trenta e quindici giorni prima della predetta udienza per il deposito, rispettivamente, delle comparse conclusionali e delle note di replica, salvo che le parti non vi rinuncino espressamente;

3) all’udienza di rimessione della causa in decisione il giudice riservi la decisione provvedendo al deposito della sentenza nei successivi trenta giorni nelle cause in cui il tribunale decide in composizione monocratica ovvero sessanta giorni nelle cause in cui il tribunale decide in composizione collegiale.

[…]

  3 Appello

La riforma del giudizio di impugnazione davanti alla corte d’appello è da più parti sentita come necessaria in considerazione dell’elevato carico di arretrato che, nel corso degli anni, si è accumulato in correlazione con l’aumento dei tempi processuali di definizione delle cause. È necessario, quindi, intervenire sia nella fase introduttiva, rendendo più stringenti le tecniche di formulazione dei motivi di appello, che devono peraltro rispondere ai canoni di sinteticità e chiarezza, sia nella fase di gestione delle udienze, con il ripristino della figura del consigliere istruttore (la cui nomina era prevista dall’articolo 349 c.p.c., abrogato dall’articolo 55 della legge 26 novembre 1990, n. 353), davanti al quale si svolgeranno tutte le udienze di trattazione, di istruzione e di precisazione delle conclusioni, il quale ammetterà ed assumerà eventuali mezzi di prova e riferirà al collegio per l’adozione dei provvedimenti decisori, sia, infine, nella fase della decisione, ove vengono mutuati i due modelli decisori previsti per il giudizio di primo grado davanti al tribunale.

Indi, si prevede una rimodulazione dell’articolo 342 c.p.c. con una migliore enucleazione dei criteri cui deve uniformarsi l’atto di introduttivo del gravame e il mantenimento del c.d. “filtro” che, in caso di manifesta infondatezza dell’appello per motivi di merito ma anche di rito (così recependo sul punto la consolidata elaborazione della giurisprudenza di legittimità; cfr., ex plurimis, Cass., sent. n. 8940/2014), consentirà al consigliere istruttore alla prima udienza di trattazione di fissare l’udienza di discussione orale della causa davanti al collegio ai sensi dell’articolo 281-sexies c.p.c.

Significativa è anche la modifica dei presupposti per la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata che diventano, per un verso, più precisi e puntuali con la sostituzione dell’inciso relativo alla “sussistenza di gravi e fondati motivi” con la “manifesta fondatezza dell’appello” e, anche in alternativa, con il presupposto legato alla “possibilità di insolvenza di una delle parti”, già presente nella precedente formulazione, ma meglio precisato con riferimento al rischio che dall’esecuzione della sentenza possa derivare un grave e irreparabile pregiudizio, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti quando la decisione contiene la condanna al pagamento di una somma di denaro. Per altro verso, di nuova formulazione è l’introduzione della possibilità di proporre o riproporre l’istanza ex articolo 283 c.p.c. anche nel corso del giudizio per motivi sopravvenuti ma con aumento della sanzione pecuniaria da comminare per i casi di inammissibilità o manifesta infondatezza.

Infine, la modifica degli articoli 350 e 352 c.p.c. prevede non solo la possibilità che già alla prima udienza, se il consigliere istruttore ritiene la causa matura per la decisione, fissi l’udienza di discussione orale davanti al collegio con lettura del dispositivo e della concisa motivazione, ai sensi dell’articolo 281-sexies c.p.c. ovvero, ove la complessità della causa lo richieda, con riserva della decisione che verrà depositata nei successivi sessanta giorni, ma parimenti l’estensione al giudizio di secondo grado del modello decisorio previsto, dalla riforma, anche per il giudizio di primo grado davanti al tribunale in composizione monocratica o collegiale, con assegnazione ad opera del consigliere istruttore di un termine per il deposito telematico di note scritte contenenti la precisazione delle conclusioni, di un termine di trenta e di quindici giorni prima dell’udienza di rimessione della causa in decisione per il deposito, rispettivamente, delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, salvo che le parti non vi rinuncino espressamente; all’esito dell’udienza la causa verrà posta in decisione dal consigliere istruttore che si riserverà di riferire al collegio, con deposito della sentenza nel successivo termine di sessanta giorni.

Il riordino della fase decisoria consente non solo di uniformare il modello a quello di primo grado, ma anche un risparmio di tempi processuali, con l’obiettivo di realizzare una semplificazione del procedimento, al tempo stesso adottando alcune misure acceleratorie dirette ad assicurare la ragionevole durata del processo, con una riduzione dei tempi processuali di almeno ottanta giorni che, peraltro, potrebbero essere maggiori nel caso di generalizzazione del modello della discussione orale, obiettivo parimenti perseguito dalla riforma.

Infine, si prevede la necessità di riformulare gli articoli 353 e 354 c.p.c., escludendo ipotesi di rimessione della causa al primo giudice nei casi in cui il giudice di appello, in riforma alla sentenza del primo giudice, ritenga la causa in grado di essere decisa nel merito ovvero includendo altre ipotesi di rimessione della causa al primo giudice, non previste dalle predette norme, nei casi di grave violazione del contraddittorio.

   Articolo 6

(Giudizio di appello)

1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura civile in materia di giudizio di appello sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) mantenere immutata la forma dell’atto introduttivo con maggiore specificità dei motivi di appello, che devono essere indicati in maniera chiara e sintetica; b) prevedere che il provvedimento sulla improcedibilità dell’appello nei casi di cui all’articolo 348 del codice di procedura civile e il provvedimento che dichiari l’estinzione siano resi con ordinanza; c) riformulare l’articolo 348-bis del codice di procedura civile prevedendo che l’attuale dichiarazione di inammissibilità sia sostituita dalla dichiarazione di manifesta infondatezza dell’appello per ragioni di merito e/o di rito e che il collegio la dichiari con sentenza succintamente motivata ai sensi dell’articolo 281-sexies del codice di procedura civile; d) reintrodurre la figura del consigliere istruttore, davanti al quale dovranno svolgersi tutte le udienze di trattazione, istruzione e precisazione delle conclusioni, che ammetterà ed assumerà eventuali mezzi di prova e riferirà al collegio per l’adozione dei provvedimenti aventi carattere e portata decisoria; e) modificare la disciplina dei provvedimenti sull’esecuzione provvisoria in appello prevedendo che: 1) la sospensione dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza impugnata sia disposta sulla base di un giudizio prognostico di manifesta fondatezza dell’impugnazione o, alternativamente, sulla base di un grave e irreparabile pregiudizio derivante dall’esecuzione della sentenza consistente, quanto alle sentenze di condanna al pagamento di una somma di denaro, in gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti; 2) l’istanza di cui al n. 1) possa essere proposta o riproposta nel corso del giudizio di appello, anche con ricorso autonomo, qualora sia fondata, a pena di inammissibilità, su elementi sopravvenuti dopo l’impugnazione; 3) in caso di riproposizione dell’istanza, qualora la stessa sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata, la parte che l’ha proposta sia condannata con ordinanza non impugnabile al pagamento della pena pecuniaria prevista dall’articolo 283, secondo comma, del codice di procedura civile, elevata nel minimo e nel massimo di quattro volte; f) prevedere che, esaurita la trattazione e l’eventuale istruzione della causa: 1) il consigliere istruttore, ove non intenda procedere secondo quanto disposto nel successivo punto n. 2), inviti le parti a precisare le conclusioni ed a discutere oralmente la causa fissando udienza davanti al collegio che, al termine della discussione, pronuncerà sentenza dando lettura del dispositivo e della succinta motivazione secondo il modello previsto dall’articolo 281-sexies del codice di procedura civile, qualora l’appello sia manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 348-bis del codice di procedura civile, manifestamente fondato o la causa sia matura per la decisione, ovvero, ove la complessità della causa lo richieda, riserverà la decisione che verrà depositata nei successivi sessanta giorni; 2) il consigliere istruttore fissi davanti a sé l’udienza di rimessione della causa in decisione ed assegni un termine perentorio di sessanta giorni prima per il deposito di note scritte contenenti la precisazione delle conclusioni, termine perentorio fino a trenta giorni prima dell’udienza per il deposito delle comparse conclusionali e termine perentorio fino a quindici giorni prima per il deposito delle note di replica, salvo che le parti non vi rinuncino espressamente; 3) all’udienza la causa venga posta in decisione e il consigliere istruttore si riservi di riferire al collegio, che provvederà al deposito della sentenza nei successivi sessanta giorni; g) riformulare gli articoli 353 e 354 del codice di procedura civile, razionalizzando le fattispecie di rimessione della causa in primo grado.

    » ARTICOLATO

TESTO VIGENTE PROPOSTE DI MODIFICA
Art. 342 c.p.c. - Forma dell’appello
L’appello si propone con citazione contenente le indicazioni prescritte nell’articolo 163. L’appello deve essere motivato. La motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità:
1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;
2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

 

 


Tra il giorno della citazione e quello della prima udienza di trattazione devono intercorrere termini liberi non minori di quelli previsti dall’articolo 163-bis.
Art. 342 c.p.c. - Forma dell’appello
L’appello si propone con citazione contenente le indicazioni prescritte nell’articolo 163. L’appello deve essere motivato. La motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità:
1) l’indicazione specifica e sintetica dei motivi di appello;

2) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;
3) l’indicazione la specifica e sintetica esposizione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

Tra il giorno della citazione e quello della prima udienza di trattazione devono intercorrere termini liberi non minori di quelli previsti dall’articolo 163-bis.
Art. 334. Impugnazioni incidentali tardive
Le parti, contro le quali è stata proposta impugnazione e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell’articolo 331, possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza. In tal caso, se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile, la impugnazione incidentale perde ogni efficacia.
Art. 334. Impugnazioni incidentali tardive
Le parti, contro le quali è stata proposta impugnazione e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell’articolo 331, possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza. In tal caso, se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile o improcedibile, la impugnazione incidentale perde ogni efficacia.
Art. 348. Improcedibilità dell’appello
L’appello è dichiarato improcedibile, anche d’ufficio, se l’appellante non si costituisce in termini. Se l’appellante non compare alla prima udienza, benché si sia anteriormente costituito, il collegio, con ordinanza non impugnabile, rinvia la causa ad una prossima udienza, della quale il cancelliere dà comunicazione all’appellante. Se anche alla nuova udienza l’appellante non compare, l’appello è dichiarato improcedibile anche d’ufficio.
Art. 348. Improcedibilità dell’appello
L’appello è dichiarato improcedibile, anche d’ufficio, con ordinanza non impugnabile, se l’appellante non si costituisce in termini. Se l’appellante non compare alla prima udienza, benché si sia anteriormente costituito, il collegio, con ordinanza non impugnabile, rinvia la causa ad una prossima udienza, della quale il cancelliere dà comunicazione all’appellante. Se anche alla nuova udienza l’appellante non compare, l’appello è dichiarato improcedibile anche d’ufficio con ordinanza non impugnabile.
Art. 348-bis. Inammissibilità all’appello. Fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello, l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta. Il primo comma non si applica quando: a) l’appello è proposto relativamente a una delle cause di cui all’articolo 70, primo comma; b) l’appello è proposto a norma dell’articolo 702-quater. Art. 348-bis. (Inammissibilità all’appello)



- abrogato
Art. 348-ter. Pronuncia sull’inammissibilità dell’appello. All’udienza di cui all’articolo 350 il giudice, prima di procedere alla trattazione, sentite le parti, dichiara inammissibile l’appello, a norma dell’articolo 348-bis, primo comma, con ordinanza succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi. Il giudice provvede sulle spese a norma dell’articolo 91. L’ordinanza di inammissibilità è pronunciata solo quando sia per l’impugnazione principale che per quella incidentale di cui all’articolo 333 ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell’articolo 348-bis. In mancanza, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza. Quando è pronunciata l’inammissibilità, contro il provvedimento di primo grado può essere proposto, a norma dell’articolo 360, ricorso per cassazione. In tal caso il termine per il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilità. Si applica l’articolo 327, in quanto compatibile. Quando l’inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione di cui al comma precedente può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) del primo comma dell’articolo 360. La disposizione di cui al quarto comma si applica, fuori dei casi di cui all’articolo 348-bis, secondo comma, lettera a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado. Art. 348-bis. Pronuncia sulla manifesta infondatezza dell’appello. All’udienza di cui all’articolo 350 il giudice, prima di procedere alla trattazione, sentite le parti, ove ritenga l’appello proposto manifestamente infondato per ragioni di merito o di rito, lo dichiara inammissibile l’appello, a norma dell’articolo 348-bis, primo comma, con ordinanza succintamente motivata con sentenza pronunciata ai sensi dell’articolo 281-sexies, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi. Il giudice provvede sulle spese a norma dell’articolo 91. L’ordinanza di inammissibilità è pronunciata solo quando sia per l’impugnazione principale che per quella incidentale di cui all’articolo 333 ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell’articolo 348-bis. In mancanza, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza. Ove sia stata proposta l’impugnazione principale e quella incidentale, la sentenza di cui al primo comma è pronunciata solo quando entrambe le impugnazioni siano ritenute manifestamente infondate. Quando è pronunciata l’inammissibilità, contro il provvedimento di primo grado può essere proposto, a norma dell’articolo 360, ricorso per cassazione. In tal caso il termine per il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilità. Si applica l’articolo 327, in quanto compatibile. Quando l’inammissibilità la manifesta infondatezza è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) del primo comma dell’articolo 360. La disposizione di cui al precedente comma si applica anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado.
349. (Nomina dell’istruttore) - abrogato 349. Nomina dell’istruttore. Il presidente designa un componente del collegio per la trattazione e l’istruzione della causa. Il decreto è comunicato alle parti dal cancelliere.
Art. 350. Trattazione. Davanti alla corte di appello la trattazione dell’appello è collegiale ma il presidente del collegio può delegare per l’assunzione dei mezzi istruttori uno dei suoi componenti; davanti al tribunale l’appello è trattato e deciso dal giudice monocratico. Nella prima udienza di trattazione il giudice verifica la regolare costituzione del giudizio e, quando occorre, ordina l’integrazione di esso o la notificazione prevista dall’articolo 332, oppure dispone che si rinnovi la notificazione dell’atto di appello. Nella stessa udienza il giudice dichiara la contumacia dell’appellato, provvede alla riunione degli appelli proposti contro la stessa sentenza e procede al tentativo di conciliazione ordinando, quando occorre, la comparizione personale delle parti. Art. 350. Trattazione. Davanti alla corte di appello la trattazione dell’appello è collegiale ma il presidente del collegio può delegare per l’assunzione dei mezzi istruttori uno dei suoi componenti; Davanti al tribunale l’appello è trattato e deciso dal giudice monocratico. Nella prima udienza di trattazione il giudice consigliere istruttore verifica la regolare costituzione del giudizio e, quando occorre, ordina l’integrazione di esso o la notificazione prevista dall’articolo 332, oppure dispone che si rinnovi la notificazione dell’atto di appello. Nella stessa udienza il giudice consigliere istruttore dichiara la contumacia dell’appellato, provvede alla riunione degli appelli proposti contro la stessa sentenza e procede al tentativo di conciliazione ordinando, quando occorre, la comparizione personale delle parti, ammette le prove e fissa udienza davanti a se per la relativa assunzione. Il consigliere istruttore, alla prima udienza, se ritiene la causa matura per la decisione o nei casi di manifesta fondatezza, può provvedere ai sensi dell’articolo 281-sexies, fissando udienza di discussione orale della causa davanti al collegio, che, al termine della discussione, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo e della succinta motivazione ovvero, ove la complessità della causa lo richieda, riserva la decisione che verrà depositata nei successivi sessanta giorni.
Art. 351. Provvedimenti sull’esecuzione provvisoria. Sull’istanza prevista dall’articolo 283 il giudice provvede con ordinanza non impugnabile nella prima udienza. La parte può, con ricorso al giudice, chiedere che la decisione sulla sospensione sia pronunciata prima dell’udienza di comparizione. Davanti alla corte di appello il ricorso è presentato al presidente del collegio. Il presidente del collegio o il tribunale, con decreto in calce al ricorso, ordina la comparizione delle parti in camera di consiglio, rispettivamente, davanti al collegio o davanti a sé. Con lo stesso decreto, se ricorrono giusti motivi di urgenza, può disporre provvisoriamente l’immediata sospensione dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza; in tal caso, all’udienza in camera di consiglio il collegio o il tribunale conferma, modifica o revoca il decreto con ordinanza non impugnabile. Il giudice, all’udienza prevista dal primo comma, se ritiene la causa matura per la decisione, può provvedere ai sensi dell’articolo 281-sexies. Se per la decisione sulla sospensione è stata fissata l’udienza di cui al terzo comma, il giudice fissa apposita udienza per la decisione della causa nel rispetto dei termini a comparire. Art. 351. Provvedimenti sull’esecuzione provvisoria. Sull’istanza prevista dall’articolo 283 il giudice provvede con ordinanza non impugnabile nella prima udienza. La parte può, con ricorso al giudice, chiedere che la decisione sulla sospensione sia pronunciata prima dell’udienza di comparizione. Davanti alla corte di appello il ricorso è presentato al presidente del collegio che, con decreto in calce al ricorso, designa il consigliere istruttore e ordina la comparizione delle parti in camera di consiglio davanti a sé. Il presidente del collegio o il tribunale, con decreto in calce al ricorso, ordina la comparizione delle parti in camera di consiglio, rispettivamente, davanti al collegio o davanti a sé. Con lo stesso decreto, se ricorrono giusti motivi di urgenza, può disporre provvisoriamente l’immediata sospensione dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza; in tal caso, all’udienza in camera di consiglio il collegio o il tribunale conferma, modifica o revoca il decreto con ordinanza non impugnabile. L’istanza può essere proposta o riproposta nel corso del giudizio di appello, anche con ricorso autonomo, qualora sia fondata, a pena di inammissibilità, su elementi sopravvenuti dopo l’impugnazione; nel caso di riproposizione dell’istanza, qualora la stessa sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata, la parte che l’ha proposta è condannata con ordinanza non impugnabile al pagamento della pena pecuniaria prevista dall’articolo 283, secondo comma, elevata nel minimo e nel massimo a quattro volte. Il giudice, all’udienza prevista dal primo comma, se ritiene la causa matura per la decisione, può provvedere ai sensi dell’articolo 281-sexies. Se per la decisione sulla sospensione è stata fissata l’udienza di cui al terzo comma, il giudice fissa apposita udienza per la decisione della causa nel rispetto dei termini a comparire.
Art. 283. Provvedimenti sull’esecuzione provvisoria in appello. Il giudice dell’appello, su istanza di parte, proposta con l’impugnazione principale o con quella incidentale, quando sussistono gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti, sospende in tutto o in parte l’efficacia esecutiva o l’esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione. Se l’istanza prevista dal comma che precede è inammissibile o manifestamente infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10.000. L’ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio. Art. 283. Provvedimenti sull’esecuzione provvisoria in appello. Il giudice dell’appello, su istanza di parte, proposta con l’impugnazione principale o con quella incidentale, quando sussistono gravi e fondati motivi, nei casi di manifesta fondatezza dell’impugnazione o qualora ricorra il pericolo di un grave ed irreparabile pregiudizio derivante dall’esecuzione della sentenza, anche in relazione alla consistente anche nella possibilità di insolvenza di una delle parti, sospende in tutto o in parte l’efficacia esecutiva o l’esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione. Se l’istanza prevista dal comma che precede è inammissibile o manifestamente infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10.000. L’ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio.
Art. 352. Decisione. Esaurita l’attività prevista negli articoli 350 e 351, il giudice, ove non provveda a norma dell’articolo 356, invita le parti a precisare le conclusioni e dispone lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica a norma dell’articolo 190; la sentenza è depositata in cancelleria entro sessanta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica. Se l’appello è proposto alla corte di appello, ciascuna delle parti, nel precisare le conclusioni, può chiedere che la causa sia discussa oralmente dinanzi al collegio. In tal caso, fermo restando il rispetto dei termini indicati nell’articolo 190 per il deposito delle difese scritte, la richiesta deve essere riproposta al presidente della corte alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica. Il presidente provvede sulla richiesta fissando con decreto la data dell’udienza di discussione da tenersi entro sessanta giorni; con lo stesso decreto designa il relatore. La discussione è preceduta dalla relazione della causa; la sentenza è depositata in cancelleria entro i sessanta giorni successivi. Se l’appello è proposto al tribunale, il giudice, quando una delle parti lo richiede, dispone lo scambio delle sole comparse conclusionali a norma dell’articolo 190 e fissa l’udienza di discussione non oltre sessanta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle comparse medesime; la sentenza è depositata in cancelleria entro i sessanta giorni successivi. Quando non provvede ai sensi dei commi che precedono, il giudice può decidere la causa ai sensi dell’articolo 281-sexies. Art. 352. Decisione. Esaurita l’attività prevista negli articoli 350 e 351, il giudice consigliere istruttore, ove non si provveda a norma dell’articolo 356, invita le parti a precisare le conclusioni e dispone lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica a norma dell’articolo 190; fissa davanti a sé l’udienza di rimessione della causa in decisione ed assegna termine perentorio fino a sessanta giorni prima per il deposito di note scritte contenenti la precisazione delle conclusioni. Assegna, altresì, termine perentorio fino a trenta giorni prima dell’udienza per il deposito delle comparse conclusionali e termine perentorio fino a quindici giorni prima per il deposito delle note di replica, salvo che le parti non vi rinuncino espressamente; all’udienza la causa viene posta in decisione e il consigliere istruttore si riserva di riferire al collegio. La sentenza è depositata in cancelleria dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica nei successivi sessanta giorni. Se l’appello è proposto alla corte di appello, ciascuna delle parti, nel precisare le conclusioni, può chiedere che la causa sia discussa oralmente dinanzi al collegio. In tal caso, fermo restando il rispetto dei termini indicati nell’articolo 190 per il deposito delle difese scritte, la richiesta deve essere riproposta al presidente della corte alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica. Il presidente provvede sulla richiesta fissando con decreto la data dell’udienza di discussione da tenersi entro sessanta giorni; con lo stesso decreto designa il relatore. La discussione è preceduta dalla relazione della causa; la sentenza è depositata in cancelleria entro i sessanta giorni successivi. Se l’appello è proposto al tribunale, il giudice, quando una delle parti lo richiede, dispone lo scambio delle sole comparse conclusionali a norma dell’articolo 190 e fissa l’udienza di discussione non oltre sessanta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle comparse medesime; la sentenza è depositata in cancelleria entro i sessanta giorni successivi. Quando non provvede ai sensi dei commi che precedono, il giudice può decidere la causa ai sensi dell’articolo 281-sexies ovvero con le modalità previste dall’articolo 350, ultimo comma.
Art. 434. Deposito del ricorso in appello. Il ricorso deve contenere le indicazioni prescritte dall’articolo 414. L’appello deve essere motivato. La motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria della corte di appello entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza, oppure entro quaranta giorni nel caso in cui la notificazione abbia dovuto effettuarsi allo estero. Art. 434. Deposito del ricorso in appello. Il ricorso deve contenere le indicazioni prescritte dall’articolo 414. L’appello deve essere motivato. La motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l’indicazione chiara e sintetica dei motivi di appello; 2) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 3) l’indicazione l’esposizione chiara e sintetica delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria della corte di appello entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza, oppure entro quaranta giorni nel caso in cui la notificazione abbia dovuto effettuarsi allo estero.
Art. 326. Decorrenza dei termini. I termini stabiliti nell’articolo precedente sono perentori e decorrono dalla notificazione della sentenza, tranne per i casi previsti nei numeri 1, 2, 3 e 6 dell’articolo 395 e negli articoli 397 e 404 secondo comma, riguardo ai quali il termine decorre dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o la falsità o la collusione o è stato recuperato il documento o è passata in giudicato la sentenza di cui al numero 6 dell’articolo 395, o il pubblico ministero ha avuto conoscenza della sentenza. Nel caso previsto nell’articolo 332, l’impugnazione proposta contro una parte fa decorrere nei confronti dello stesso soccombente il termine per proporla contro le altre parti. Art. 326. Decorrenza dei termini. I termini stabiliti nell’articolo precedente sono perentori e decorrono, anche per il notificante, dalla notificazione della sentenza, tranne per i casi previsti nei numeri 1, 2, 3 e 6 dell’articolo 395 e negli articoli 397 e 404 secondo comma, riguardo ai quali il termine decorre dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o la falsità o la collusione o è stato recuperato il documento o è passata in giudicato la sentenza di cui al numero 6 dell’articolo 395, o il pubblico ministero ha avuto conoscenza della sentenza. Nel caso previsto nell’articolo 332, l’impugnazione proposta contro una parte fa decorrere nei confronti dello stesso soccombente il termine per proporla contro le altre parti.

Con riferimento al giudizio di cassazione, si è inteso opportuno intervenire in un’ottica di semplificazione e di accelerazione, al fine di conseguire l’obiettivo di ridurre i tempi di durata del processo, razionalizzando il procedimento e adeguando le modalità di risposta della Corte alle diverse tipologie di contenzioso e agli esiti prefigurati.

Risponde a questo obiettivo, innanzitutto, l’introduzione del principio di chiarezza e sinteticità degli atti di parte: una previsione, questa, che per il giudizio di cassazione merita di essere introdotta con una disposizione ad hoc, in considerazione non solo della centralità del ruolo della Corte di cassazione nell’ordinamento, al vertice del sistema delle impugnazioni, ma anche per le caratteristiche peculiari rivestite dalla traduzione di quel principio nel giudizio di legittimità.

In questa prospettiva, si è previsto, per un verso, che le parti redigano il ricorso, il controricorso e gli atti difensivi secondo i criteri e nei limiti dimensionali stabiliti con decreto del primo presidente della Corte di cassazione, sentiti il procuratore generale della Cassazione, il Consiglio nazionale forense e l’Avvocato generale dello Stato; per l’altro verso, che il ricorso debba contenere la chiara ed essenziale esposizione dei fatti della causa e la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione.

Risponde ad una esigenza di chiarezza in chiave di accesso al giudizio di legittimità la perimetrazione del principio di autosufficienza del ricorso. il ricorso deve contenere la specifica indicazione, per ciascuno dei motivi, del passo dell’atto processuale, del documento e del contratto o accodo collettivo sul quale lo stesso si fonda, nonché del momento in cui essi sono stati depositati o si sono formati nel processo. Completa questa previsione la regola secondo cui il rispetto di tale onere e di quanto previsto, in tema di deposito del ricorso, dal numero 4 dell’articolo 369 c.p.c. soddisfa il principio di autosufficienza.

Uno dei punti qualificanti delle innovazioni normative proposte è rappresentato dalla unificazione dei riti camerali, attualmente disciplinati dagli articoli 380-bis (Procedimento per la decisione in camera di consiglio sull’inammissibilità o sulla manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso) e 380-bis.1 c.p.c. (Procedimento per la decisione in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice).

Si tratta di una misura destinata a dispiegare effetti tanto sul piano organizzativo, con un impiego più razionale delle risorse, quanto sotto il profilo processuale.

Si prevede, infatti, non solo la soppressione, anche nell’Ordinamento giudiziario, della sezione di cui all’articolo 376 c.p.c. e la concentrazione della relativa competenza dinanzi alle sezioni semplici, ma anche l’abrogazione del procedimento disciplinato dall’articolo 380-bis e il mantenimento di quello dettato dall’articolo 380-bis.1 c.p.c., con l’espressa estensione della pronuncia in camera di consiglio all’ipotesi in cui la Corte riconosca di dovere dichiarare l’improcedibilità del ricorso.

La Commissione ha inteso accompagnare questa misura di razionalizzazione con due novità significative.

La prima attiene, in generale, alla fase decisoria del procedimento in camera di consiglio. Per rendere più spedita la fase decisoria del procedimento in camera di consiglio, disciplinato dagli articoli 380-bis.1 e 380-ter c.p.c., si prevede che, al termine della camera di consiglio, l’ordinanza, succintamente motivata, possa essere immediatamente depositata in cancelleria, rimanendo ferma la possibilità per il collegio di riservarne la redazione e la pubblicazione nei sessanta giorni dalla deliberazione.

L’altra riguarda la introduzione di un procedimento accelerato, rispetto alla ordinaria sede camerale, per la definizione dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati. A tal fine si prevede: che il giudice della Corte formuli una proposta di definizione del ricorso, con la sintetica indicazione delle ragioni della inammissibilità, della improcedibilità o della manifesta infondatezza ravvisata; che la proposta sia comunicata agli avvocati delle parti; che se nessuna delle parti chiede la fissazione della camera di consiglio nel termine di venti giorni dalla comunicazione, il ricorso si intende rinunciato e il giudice pronuncia decreto di estinzione, liquidando le spese. Questo meccanismo accelerato comporta benefici evidenti sul piano della deflazione del contenzioso e vantaggi compensativi per lo stesso ricorrente soccombente, esonerato dal versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Un altro aspetto caratterizzante è rappresentato dalla razionalizzazione della disciplina della udienza pubblica. Si prevede che la Corte vi ricorra nei casi di rilevanza della questione di diritto sulla quale deve pronunciare (laddove attualmente è richiesta la particolare rilevanza della questione). Viene elevato a quaranta giorni prima il termine entro il quale deve essere data comunicazione al pubblico ministero e agli avvocati delle parti della fissazione dell’udienza. E’ introdotta la facoltà per il pubblico ministero di presentare una memoria in cancelleria non oltre dieci giorni prima dell’udienza, ferma la facoltà per le parti di presentare le loro brevi memorie non oltre cinque giorni prima dell’udienza, sia per illustrare i motivi già esposti negli atti introduttivi, sia per replicare alle ragioni delle altre parti e alla memoria del pubblico ministero. Si prevede inoltre, quanto all’udienza di discussione, che il relatore riferisca i fatti sinteticamente, che il presidente o il relatore indichino, ove occorra, le questioni rilevanti per la decisione, e che il presidente possa fissare, se lo ritiene necessario, limiti temporali per lo svolgimento della discussione.

Il pacchetto di misure si completa con due interventi di restyling, l’uno processuale, l’altro ordinamentale.

Il primo si riferisce all’adeguamento della disciplina della correzione degli errori materiali e della revocazione, prevedendosi, là dove il codice di procedura civile richiama l’articolo 380-bis, che la Corte pronunci nell’osservanza dell’articolo 380-bis.1 c.p.c.

Il secondo concerne la disciplina delle attribuzioni del pubblico ministero presso la Corte di cassazione dettate dall’Ordinamento giudiziario. Nella materia civile, il pubblico ministero: interviene e conclude in tutte le udienze pubbliche dinanzi alle sezioni unite e alle sezioni semplici della Corte; può formulare conclusioni scritte nei procedimenti trattati in camera di consiglio dalle sezioni unite e dalle sezioni semplici; redige requisitorie scritte e memorie nei casi previsti dalla legge.

   2.2 Articolo 6-BIS

(Giudizio innanzi alla Corte di cassazione)

1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) introdurre il principio di chiarezza e sinteticità degli atti di parte, prevedendo che: 1) le parti redigano il ricorso, il controricorso e gli atti difensivi secondo i criteri e nei limiti dimensionali stabiliti con decreto del primo presidente della Corte di cassazione, sentiti il procuratore generale della Corte di cassazione, il Consiglio nazionale forense e l’avvocato generale dello Stato; 2) il ricorso debba contenere la chiara ed essenziale esposizione dei fatti della causa e la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione; b) specificare in che cosa consiste il principio di autosufficienza del ricorso, prevedendo che il ricorso debba contenere la specifica indicazione, per ciascuno dei motivi, del passo dell’atto processuale, del documento e del contratto o accordo collettivo sul quale lo stesso si fonda, nonché del momento in cui essi sono stati depositati o si sono formati nel processo, e stabilendo che il rispetto di tale onere e di quanto previsto dal numero 4 dell’articolo 369 del codice di procedura civile soddisfa tale principio; c) unificare i riti camerali, attualmente disciplinati dagli articoli 380-bis (Procedimento per la decisione in camera di consiglio sull’inammissibilità o sulla manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso) e 380-bis.1 del codice di procedura civile (Procedimento per la decisione in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice), prevedendo: 1) la soppressione, anche nell’Ordinamento giudiziario, della sezione di cui all’articolo 376 del codice di procedura civile e la concentrazione della relativa competenza dinanzi alle sezioni semplici; 2) l’abrogazione del procedimento disciplinato dall’articolo 380-bis del codice di procedura civile e il mantenimento di quello disciplinato dall’articolo 380-bis.1 del codice di procedura civile; d) estendere la pronuncia in camera di consiglio all’ipotesi in cui la Corte riconosca di dovere dichiarare l’improcedibilità del ricorso; e) rendere più spedita la fase decisoria del procedimento in camera di consiglio, disciplinato dall’articolo 380-bis.1 e dall’articolo 380-ter del codice di procedura civile, prevedendo che, al termine della camera di consiglio, l’ordinanza, succintamente motivata, possa essere immediatamente depositata in cancelleria, rimanendo ferma la possibilità per il collegio di riservarne la redazione e la pubblicazione nei sessanta giorni dalla deliberazione; f) introdurre un procedimento accelerato, rispetto alla ordinaria sede camerale, per la definizione dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, prevedendo che: 1) il giudice della Corte formuli una proposta di definizione del ricorso, con la sintetica indicazione delle ragioni della inammissibilità, della improcedibilità o della manifesta infondatezza ravvisata; 2) la proposta sia comunicata agli avvocati delle parti; 3) se nessuna delle parti chiede la fissazione della camera di consiglio nel termine di venti giorni dalla comunicazione, il ricorso si intenda rinunciato e il giudice pronunci decreto di estinzione, liquidando le spese, con esonero dal ricorrente dal versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato; g) razionalizzare la disciplina della udienza pubblica, prevedendo che la Corte vi ricorra nei casi di rilevanza della questione di diritto sulla quale deve pronunciare; elevando a quaranta giorni prima il termine entro il quale debba essere data comunicazione al pubblico ministero e agli avvocati delle parti della fissazione dell’udienza; introducendo la facoltà per il pubblico ministero di presentare una memoria in cancelleria non oltre dieci giorni prima dell’udienza, ferma la facoltà per le parti di presentare le loro brevi memorie non oltre cinque giorni prima dell’udienza, sia per illustrare i motivi già esposti negli atti introduttivi, sia per replicare alle ragioni delle altre parti e alla memoria del pubblico ministero; prevedendo, quanto all’udienza di discussione, che il relatore riferisca i fatti sinteticamente, che il presidente o il relatore indichino, ove occorra, le questioni rilevanti per la decisione, e che il presidente possa fissare, se lo ritiene necessario, limiti temporali per lo svolgimento della discussione; h) adeguare la disciplina della correzione degli errori materiali e della revocazione, prevedendo, là dove il codice di procedura civile richiama l’articolo 380-bis, che la Corte pronunci nell’osservanza dell’articolo 380-bis.1 del codice di procedura civile; i) adeguare la disciplina delle attribuzioni del pubblico ministero presso la Corte di cassazione dettate dall’Ordinamento giudiziario, prevedendo che, nella materia civile, il pubblico ministero: 1) intervenga e concluda in tutte le udienze pubbliche dinanzi alle sezioni unite e alle sezioni semplici della Corte; 2) possa formulare conclusioni scritte nei procedimenti trattati in camera di consiglio dalle sezioni unite e dalle sezioni semplici; 3) rediga requisitorie scritte e memorie nei casi previsti dalla legge.

    » ARTICOLATO

TESTO VIGENTE PROPOSTE DI MODIFICA
Art. 366 c.p.c. Contenuto del ricorso. Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l'indicazione delle parti; 2) l'indicazione della sentenza o decisione impugnata; 3) l'esposizione sommaria dei fatti della causa; 4) i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, secondo quanto previsto dall'articolo 366-bis; 5) l'indicazione della procura, se conferita con atto separato e, nel caso di ammissione al gratuito patrocinio, del relativo decreto; 6) la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda. Se il ricorrente non ha eletto domicilio in Roma, ovvero non ha indicato l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di cassazione. Nel caso previsto nell'articolo 360, secondo comma, l'accordo delle parti deve risultare mediante visto apposto sul ricorso dalle altre parti o dai loro difensori muniti di procura speciale, oppure mediante atto separato, anche anteriore alla sentenza impugnata, da unirsi al ricorso stesso. Le comunicazioni della cancelleria e le notificazioni tra i difensori di cui agli articoli 372 e 390 sono effettuate ai sensi dell'articolo 136, secondo e terzo comma. Art. 366 c.p.c. Contenuto del ricorso. Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l'indicazione delle parti; 2) l'indicazione della sentenza o decisione impugnata; 3) l’esposizione sommaria la chiara ed essenziale esposizione dei fatti della causa; 4) la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione, con l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, secondo quanto previsto dall'articolo 366-bis; 5) l'indicazione della procura, se conferita con atto separato e, nel caso di ammissione al gratuito patrocinio, del relativo decreto; 6) la specifica indicazione, per ciascuno dei motivi, del passo degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali lo stesso si fonda, nonché del momento in cui essi sono stati depositati o si sono formati nel processo. Il rispetto della previsione del numero 6) del primo comma e del numero 4) dell’articolo 369 soddisfa il requisito dell’autosufficienza. Se il ricorrente non ha eletto domicilio in Roma, ovvero non ha indicato l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di cassazione. Nel caso previsto nell'articolo 360, secondo comma, l'accordo delle parti deve risultare mediante visto apposto sul ricorso dalle altre parti o dai loro difensori muniti di procura speciale, oppure mediante atto separato, anche anteriore alla sentenza impugnata, da unirsi al ricorso stesso. Le comunicazioni della cancelleria e le notificazioni tra i difensori di cui agli articoli 372 e 390 sono effettuate ai sensi dell'articolo 136, secondo e terzo comma.
Art. 375 c.p.c. Pronuncia in camera di consiglio. La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio quando riconosce di dovere: 1) dichiarare l'inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto, anche per mancanza dei motivi previsti dall'articolo 360; 2) ordinare l'integrazione del contraddittorio o disporre che sia eseguita la notificazione dell'impugnazione a norma dell'articolo 332 ovvero che sia rinnovata; 3) provvedere in ordine all'estinzione del processo in ogni caso diverso dalla rinuncia; 4) pronunciare sulle istanze di regolamento di competenza e di giurisdizione; 5) accogliere o rigettare il ricorso principale e l'eventuale ricorso incidentale per manifesta fondatezza o infondatezza; La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia sentenza in camera di consiglio quando il ricorso principale e quello incidentale eventualmente proposto sono manifestamente fondati e vanno, pertanto, accolti entrambi, o quando riconosce di dover pronunciare il rigetto di entrambi per mancanza dei motivi previsti nell'articolo 360 o per manifesta infondatezza degli stessi, nonché quando un ricorso va accolto per essere manifestamente fondato e l'altro va rigettato per mancanza dei motivi previsti nell'articolo 360 o per manifesta infondatezza degli stessi. La Corte, se ritiene che non ricorrano le ipotesi di cui al primo e al secondo comma, rinvia la causa alla pubblica udienza. Le conclusioni del pubblico ministero, almeno venti giorni prima dell'adunanza della Corte in camera di consiglio, sono notificate agli avvocati delle parti, che hanno facoltà di presentare memorie entro il termine di cui all'articolo 378 e di essere sentiti, se compaiono, nei casi previsti al primo comma, numeri 1), 4) e 5), limitatamente al regolamento di giurisdizione, e al secondo comma. La Corte, a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio in ogni altro caso, salvo che la trattazione in pubblica udienza sia resa opportuna dalla particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale deve pronunciare, ovvero che il ricorso sia stato rimesso dall'apposita sezione di cui all'articolo 376 in esito alla camera di consiglio che non ha definito il giudizio. Art. 375 c.p.c. Pronuncia in camera di consiglio. La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio quando riconosce di dovere: 1) dichiarare l'inammissibilità del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto, anche per mancanza dei motivi previsti dall'articolo 360, o dichiarare l’improcedibilità; 2) ordinare l'integrazione del contraddittorio o disporre che sia eseguita la notificazione dell'impugnazione a norma dell'articolo 332 ovvero che sia rinnovata; 3) provvedere in ordine all'estinzione del processo in ogni caso diverso dalla rinuncia; 2) pronunciare sulle istanze di regolamento di competenza e di giurisdizione; 3) accogliere o rigettare il ricorso principale e l'eventuale ricorso incidentale per manifesta fondatezza o infondatezza; 4) in ogni altro caso in cui la trattazione in pubblica udienza non sia resa opportuna dalla rilevanza della questione di diritto sulla quale deve pronunciare. La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia sentenza in camera di consiglio quando il ricorso principale e quello incidentale eventualmente proposto sono manifestamente fondati e vanno, pertanto, accolti entrambi, o quando riconosce di dover pronunciare il rigetto di entrambi per mancanza dei motivi previsti nell'articolo 360 o per manifesta infondatezza degli stessi, nonché quando un ricorso va accolto per essere manifestamente fondato e l'altro va rigettato per mancanza dei motivi previsti nell'articolo 360 o per manifesta infondatezza degli stessi. La Corte, se ritiene che non ricorrano le ipotesi di cui al primo e al secondo comma, rinvia la causa alla pubblica udienza. Le conclusioni del pubblico ministero, almeno venti giorni prima dell'adunanza della Corte in camera di consiglio, sono notificate agli avvocati delle parti, che hanno facoltà di presentare memorie entro il termine di cui all'articolo 378 e di essere sentiti, se compaiono, nei casi previsti al primo comma, numeri 1), 4) e 5), limitatamente al regolamento di giurisdizione, e al secondo comma. La Corte, a sezione semplice, pronuncia con ordinanza in camera di consiglio in ogni altro caso, salvo che la trattazione in pubblica udienza sia resa opportuna dalla particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale deve pronunciare, ovvero che il ricorso sia stato rimesso dall'apposita sezione di cui all'articolo 376 in esito alla camera di consiglio che non ha definito il giudizio.
Art. 376 c.p.c. Assegnazione dei ricorsi alle sezioni. Il primo presidente, tranne quando ricorrono le condizioni previste dall'articolo 374, assegna i ricorsi ad apposita sezione, che verifica se sussistono i presupposti per la pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 375, primo comma, numeri 1) e 5). Se, a un sommario esame del ricorso, la suddetta sezione non ravvisa tali presupposti, il presidente, omessa ogni formalità, rimette gli atti alla sezione semplice. La parte, che ritiene di competenza delle sezioni unite un ricorso assegnato a una sezione semplice, può proporre al primo presidente istanza di rimessione alle sezioni unite, fino a dieci giorni prima dell'udienza di discussione del ricorso. All’udienza della sezione semplice, la rimessione può essere disposta soltanto su richiesta del pubblico ministero o d'ufficio, con ordinanza inserita nel processo verbale. Art. 376 c.p.c. Assegnazione dei ricorsi alle sezioni. Il primo presidente, tranne quando ricorrono le condizioni previste dall'articolo 374, assegna i ricorsi ad apposita sezione, che verifica se sussistono i presupposti per la pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 375, primo comma, numeri 1) e 5). Se, a un sommario esame del ricorso, la suddetta sezione non ravvisa tali presupposti, il presidente, omessa ogni formalità, rimette gli atti alla sezione semplice. Il primo presidente assegna i ricorsi alle sezioni unite o alla sezione semplice. La parte, che ritiene di competenza delle sezioni unite un ricorso assegnato a una sezione semplice, può proporre al primo presidente istanza di rimessione alle sezioni unite, fino a dieci giorni prima dell'udienza di discussione del ricorso. All’udienza della sezione semplice, la rimessione può essere disposta soltanto su richiesta del pubblico ministero o d'ufficio, con ordinanza inserita nel processo verbale.
Art. 377 c.p.c. Fissazione dell'udienza o dell'adunanza in camera di consiglio e decreto preliminare del presidente. Il primo presidente, su presentazione del ricorso a cura del cancelliere, fissa l'udienza o l'adunanza della camera di consiglio e nomina il relatore per i ricorsi assegnati alle sezioni unite. Per i ricorsi assegnati alle sezioni semplici provvede allo stesso modo, il presidente della sezione. Dell'udienza è data comunicazione dal cancelliere agli avvocati delle parti almeno venti giorni prima. Il primo presidente, il presidente della sezione semplice o il presidente della sezione di cui all'articolo 376, primo comma, quando occorre, ordina con decreto l'integrazione del contraddittorio o dispone che sia eseguita la notificazione dell'impugnazione a norma dell'articolo 332, ovvero che essa sia rinnovata. Art. 377 c.p.c. Fissazione dell'udienza o dell'adunanza in camera di consiglio e decreto preliminare del presidente. Il primo presidente, su presentazione del ricorso a cura del cancelliere, fissa l'udienza o l'adunanza della camera di consiglio e nomina il relatore per i ricorsi assegnati alle sezioni unite. Per i ricorsi assegnati alle sezioni semplici provvede allo stesso modo il presidente della sezione. Dell'udienza è data comunicazione dal cancelliere al pubblico ministero e agli avvocati delle parti almeno quaranta giorni prima. Il primo presidente o il presidente della sezione semplice o il presidente della sezione di cui all'articolo 376, primo comma, quando occorre, ordina con decreto l'integrazione del contraddittorio o dispone che sia eseguita la notificazione dell'impugnazione a norma dell'articolo 332, ovvero che essa sia rinnovata.
Art. 378 c.p.c. Deposito di memorie di parte. Le parti possono presentare le loro memorie in cancelleria non oltre cinque giorni prima dell'udienza. Art. 378 c.p.c. Deposito di memorie di parte. Il pubblico ministero può presentare una memoria in cancelleria non oltre dieci giorni prima dell’udienza. Le parti possono presentare le loro brevi memorie in cancelleria non oltre cinque giorni prima dell’udienza per illustrare i motivi già esposti negli atti introduttivi e per replicare alle ragioni delle altre parti e alle memorie del pubblico ministero.
Art. 379 c.p.c. Discussione. All'udienza il relatore riferisce i fatti rilevanti per la decisione del ricorso, il contenuto del provvedimento impugnato e, in riassunto, se non vi è discussione delle parti, i motivi del ricorso e del controricorso. Dopo la relazione il presidente invita il pubblico ministero a esporre oralmente le sue conclusioni motivate e, quindi, i difensori delle parti a svolgere le loro difese. Non sono ammesse repliche. Art. 379 c.p.c. Discussione. All'udienza il relatore riferisce sinteticamente i fatti rilevanti per la decisione del ricorso, il contenuto del provvedimento impugnato e, in riassunto, se non vi è discussione delle parti, i motivi del ricorso e del controricorso. Ove occorra, il presidente o il relatore indicano le questioni rilevanti per la decisione. Dopo la relazione il presidente invita il pubblico ministero a esporre oralmente le sue conclusioni motivate e, quindi, i difensori delle parti a svolgere le loro difese anche con particolare riferimento a specifici aspetti evidenziati dal presidente o dal relatore. Non sono ammesse repliche. Il presidente dirige la discussione fissando, se lo ritiene necessario, limiti temporali per il suo svolgimento.
Art. 380-bis c.p.c. Procedimento per la decisione in camera di consiglio sull’inammissibilità o sulla manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso Nei casi previsti dall'articolo 375, primo comma, numeri 1) e 5), su proposta del relatore della sezione indicata nell'articolo 376, primo comma, il presidente fissa con decreto l'adunanza della Corte indicando se è stata ravvisata un'ipotesi di inammissibilità, di manifesta infondatezza o di manifesta fondatezza del ricorso. Almeno venti giorni prima della data stabilita per l'adunanza, il decreto è notificato agli avvocati delle parti, i quali hanno facoltà di presentare memorie non oltre cinque giorni prima. Se ritiene che non ricorrano le ipotesi previste dall'articolo 375, primo comma, numeri 1) e 5), la Corte in camera di consiglio rimette la causa alla pubblica udienza della sezione semplice. Art. 380-bis c.p.c. Procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati Nei casi previsti dall'articolo 375, primo comma, numeri 1) e 5), su proposta del relatore della sezione indicata nell'articolo 376, primo comma, il presidente fissa con decreto l'adunanza della Corte indicando se è stata ravvisata un'ipotesi di inammissibilità, di manifesta infondatezza o di manifesta fondatezza del ricorso. Almeno venti giorni prima della data stabilita per l'adunanza, il decreto è notificato agli avvocati delle parti, i quali hanno facoltà di presentare memorie non oltre cinque giorni prima. Se ritiene che non ricorrano le ipotesi previste dall'articolo 375, primo comma, numeri 1) e 5), la Corte in camera di consiglio rimette la causa alla pubblica udienza della sezione semplice. Nei casi di inammissibilità, improcedibilità o manifesta infondatezza del ricorso, se non è stata ancora fissata la data della decisione in camera di consiglio, il giudice della Corte formula una proposta di definizione del ricorso, con la sintetica indicazione delle ragioni della inammissibilità, della improcedibilità o della manifesta infondatezza ravvisata. La proposta è comunicata agli avvocati delle parti. Se nessuna delle parti chiede la fissazione della camera di consiglio nel termine di venti giorni dalla comunicazione, il ricorso si intende rinunciato. Il giudice pronuncia decreto di estinzione e liquida le spese. Il decreto di estinzione ha efficacia di titolo esecutivo quanto alla pronuncia sulle spese. Nel caso di definizione del giudizio ai sensi del presente articolo, il ricorrente è esonerato dal versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, di cui all’art. 13, comma 1-quater, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
Art. 380-bis.1 c.p.c. Procedimento per la decisione in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice. Della fissazione del ricorso in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice ai sensi dell'articolo 375, secondo comma, è data comunicazione agli avvocati delle parti e al pubblico ministero almeno quaranta giorni prima. Il pubblico ministero può depositare in cancelleria le sue conclusioni scritte non oltre venti giorni prima dell'adunanza in camera di consiglio. Le parti possono depositare le loro memorie non oltre dieci giorni prima dell'adunanza in camera di consiglio. In camera di consiglio la Corte giudica senza l'intervento del pubblico ministero e delle parti. Art. 380-bis.1 c.p.c. Procedimento per la decisione in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice. Della fissazione del ricorso in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice ai sensi dell'articolo 375, secondo comma, è data comunicazione agli avvocati delle parti e al pubblico ministero almeno quaranta giorni prima. Il pubblico ministero può depositare in cancelleria le sue conclusioni scritte non oltre venti giorni prima dell'adunanza in camera di consiglio. Le parti possono depositare le loro memorie non oltre dieci giorni prima dell'adunanza in camera di consiglio. In camera di consiglio la Corte giudica senza l'intervento del pubblico ministero e delle parti. L’ordinanza, succintamente motivata, è depositata entro sessanta giorni dall’adunanza; il collegio può disporre tuttavia il deposito immediato in cancelleria.
Art. 380-ter c.p.c. Procedimento per la decisione sulle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza. Nei casi previsti dall'articolo 375, primo comma, numero 4), il presidente richiede al pubblico ministero le sue conclusioni scritte. Le conclusioni e il decreto del presidente che fissa l'adunanza sono notificati, almeno venti giorni prima, agli avvocati delle parti, che hanno facoltà di presentare memorie non oltre cinque giorni prima della medesima adunanza. In camera di consiglio la Corte giudica senza l'intervento del pubblico ministero e delle parti. Art. 380-ter c.p.c. Procedimento per la decisione sulle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza. Nei casi previsti dall'articolo 375, primo comma, numero 4) 2), il presidente richiede al pubblico ministero le sue conclusioni scritte. Le conclusioni e il decreto del presidente che fissa l'adunanza sono notificati, almeno venti giorni prima, agli avvocati delle parti, che hanno facoltà di presentare memorie non oltre cinque giorni prima della medesima adunanza. In camera di consiglio la Corte giudica senza l'intervento del pubblico ministero e delle parti. L’ordinanza, succintamente motivata, è depositata entro sessanta giorni dall’adunanza; il collegio può disporre tuttavia il deposito immediato in cancelleria.
Art. 391-bis c.p.c. Correzione degli errori materiali e revocazione delle sentenze della Corte di cassazione. Se la sentenza o l'ordinanza pronunciata dalla Corte di cassazione è affetta da errore materiale o di calcolo ai sensi dell'articolo 287, ovvero da errore di fatto ai sensi dell'articolo 395, numero 4), la parte interessata può chiederne la correzione o la revocazione con ricorso ai sensi degli articoli 365 e seguenti. La correzione può essere chiesta, e può essere rilevata d'ufficio dalla Corte, in qualsiasi tempo. La revocazione può essere chiesta entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla notificazione ovvero di sei mesi dalla pubblicazione del provvedimento. Sulla correzione la Corte pronuncia nell'osservanza delle disposizioni di cui all'articolo 380-bis, primo e secondo comma. Sul ricorso per correzione dell'errore materiale pronuncia con ordinanza. Sul ricorso per revocazione, anche per le ipotesi regolate dall'articolo 391-ter, la Corte pronuncia nell'osservanza delle disposizioni di cui all'articolo 380-bis, primo e secondo comma, se ritiene l'inammissibilità, altrimenti rinvia alla pubblica udienza della sezione semplice. La pendenza del termine per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con ricorso per cassazione respinto. In caso di impugnazione per revocazione della sentenza della Corte di cassazione non è ammessa la sospensione dell'esecuzione della sentenza passata in giudicato, né è sospeso il giudizio di rinvio o il termine per riassumerlo . Art. 391-bis c.p.c. Correzione degli errori materiali e revocazione delle sentenze della Corte di cassazione. Se la sentenza o l'ordinanza pronunciata dalla Corte di cassazione è affetta da errore materiale o di calcolo ai sensi dell'articolo 287, ovvero da errore di fatto ai sensi dell'articolo 395, numero 4), la parte interessata può chiederne la correzione o la revocazione con ricorso ai sensi degli articoli 365 e seguenti. La correzione può essere chiesta, e può essere rilevata d'ufficio dalla Corte, in qualsiasi tempo. La revocazione può essere chiesta entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla notificazione ovvero di sei mesi dalla pubblicazione del provvedimento. Sulla correzione la Corte pronuncia nell'osservanza delle disposizioni di cui all’articolo 380-bis, primo e secondo comma 380-bis.1 Sul ricorso per correzione dell'errore materiale pronuncia con ordinanza. Sul ricorso per revocazione, anche per le ipotesi regolate dall'articolo 391-ter, la Corte pronuncia nell'osservanza delle disposizioni di cui all’articolo 380-bis, primo e secondo comma, 380-bis.1 se ritiene l'inammissibilità, altrimenti rinvia alla pubblica udienza della sezione semplice. La pendenza del termine per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con ricorso per cassazione respinto. In caso di impugnazione per revocazione della sentenza della Corte di cassazione non è ammessa la sospensione dell'esecuzione della sentenza passata in giudicato, né è sospeso il giudizio di rinvio o il termine per riassumerlo.
Art. 67-bis R.D. 30 gennaio 1941, n. 12. Criteri per la composizione della sezione prevista dall’articolo 376 del codice di procedura civile. 1. A comporre la sezione prevista dall'articolo 376, primo comma, del codice di procedura civile, sono chiamati, di regola, magistrati appartenenti a tutte le sezioni. Art. 67-bis R.D. 30 gennaio 1941, n. 12. (Criteri per la composizione della sezione prevista dall’articolo 376 del codice di procedura civile) – abrogato.
Art. 76 R.D. 30 gennaio 1941, n. 12. Attribuzioni del pubblico ministero presso la Corte suprema di cassazione. 1. Il pubblico ministero presso la Corte di cassazione interviene e conclude: a) in tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze dinanzi alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui all'articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile. 2. Il pubblico ministero presso la Corte di cassazione redige requisitorie scritte nei casi stabiliti dalla legge. Art. 76 R.D. 30 gennaio 1941, n. 12. Attribuzioni del pubblico ministero presso la Corte suprema di cassazione. 1. Il pubblico ministero presso la Corte di cassazione interviene e conclude: a) in tutte le udienze penali; b) nella materia civile, in tutte le udienze pubbliche dinanzi alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui all'articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile. 1.bis. Nella materia civile, il pubblico ministero presso la Corte di cassazione può formulare conclusioni nei procedimenti trattati in camera di consiglio dalle Sezioni unite e dalle sezioni semplici della Corte. 2. Il pubblico ministero presso la Corte di cassazione redige requisitorie scritte e memorie nei casi stabiliti dalla legge.
  Art. 133-ter disp. att. c.p.c. Criteri per la sinteticità e chiarezza degli atti. Al fine del rispetto dei principi di sinteticità e chiarezza di cui all’articolo 366 c.p.c., le parti redigono il ricorso, il controricorso e gli atti difensivi secondo i criteri e nei limiti dimensionali stabiliti con decreto del primo presidente della Corte di cassazione, sentiti il procuratore generale della Corte di cassazione, il Consiglio nazionale forense e l’avvocato generale dello Stato.

L’esigenza di coprire urgentemente i vuoti nell’organico della Corte Suprema di cassazione (per definire un gravoso carico di arretrato, specialmente nelle sezione tributaria, ulteriormente incrementato dalla temporanea sospensione delle attività giudiziali durante l’emergenza sanitaria da Covid-19) può essere soddisfatta dall’adozione di una norma che impieghi presso la Corte di cassazione i magistrati dell’Ufficio del massimario che, oltre ad aver maturato un quadriennio di servizio presso l’Ufficio (e, cioè, il minimo previsto per il tramutamento ex articolo 194 O.G.), abbiano già svolto le funzioni di legittimità per un biennio o che siano prossimi alla maturazione di tale significativa e formativa esperienza. L’Ufficio del massimario e del ruolo era composto – prima della modifica apportata dall’articolo 74, comma 1, lett. a), decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 – da 37 magistrati, la cui attività era rivolta a supporto dell’esercizio delle funzioni di legittimità attraverso: a) l’ordinata catalogazione dei precedenti della Corte Suprema (analisi dei provvedimenti e stesura delle massime), b) l’individuazione e la segnalazione di contrasti, problematiche meritevoli di attenzione, novità normative o giurisprudenziali, c) la predisposizione di relazioni e approfondimenti rivolti alle sezioni unite e alle sezioni semplici per la risoluzione delle controversie, d) l’elaborazione di rassegne periodiche tese a ricostruire l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità. La predetta norma – aggiungendo un comma all’articolo 115 O.G. – ha elevato il numero dei componenti dell’Ufficio a 67 magistrati e – fermo il principio secondo cui “[l]e attribuzioni dell’Ufficio del massimario e del ruolo sono stabilite dal primo presidente della corte suprema di cassazione, sentito il procuratore generale della Repubblica» (articolo 68, comma 3, O.G.) – ha istituito il compito di “assistente di studio”, magistrato dell’Ufficio destinato alle sezioni della Corte con compiti nuovi e con specifica facoltà di assistere alle camere di consiglio, pur senza possibilità di prendere parte alla deliberazione o di esprimere il voto sulla decisione (articolo 74, comma 1, lett. b), decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98). Successivamente, l’articolo 1, comma 1, decreto-legge 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197, ha inciso sul già menzionato articolo 115 O.G., aggiungendo ulteriori due commi e ha previsto la possibilità, per il primo presidente, di disporre l’applicazione dei magistrati addetti all’ufficio del massimario e del ruolo con anzianità di servizio nel predetto ufficio non inferiore a due anni, che abbiano conseguito almeno la terza valutazione di professionalità, alle sezioni della Corte per lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali di legittimità. In seguito, l’articolo 1, comma 980, legge 27 dicembre 2017, n. 205, con disposizione temporanea la cui efficacia è cessata il 31 dicembre 2020, ha stabilito che i magistrati dell’Ufficio possano essere applicati esclusivamente alla sezione tributaria (sezione quinta civile della Corte). Dal 2021, i magistrati del Massimario sono tornati a potere essere applicati anche alle altre sezioni civili e alle sezioni penali per lo svolgimento delle funzioni di legittimità. L’articolo 1, comma 379, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, ha previsto un aumento del ruolo organico del personale della magistratura ordinaria e aumentato il numero dei posti nella Corte di cassazione. Attualmente, l’organico della Corte di Cassazione presenta scoperture importanti:

PIANTA ORGANICA NUMERICA PER LA Corte Suprema di Cassazione di ROMA

Funzione Organico Vacanti Presenza Giuridica Uomini P.Giuridica Donne P.Giuridica Effettivi %Sc. Giuridica %Sc. Effettiva

Primo Presidente
della Corte di
Cassazione

1

0

1

1

0

1

0

0

Presidente Aggiunto
Corte Suprema
di Cassazione

1

0

1

0

1

1

0

0

Presidente di
Sezione
Corte Suprema
di Cassazione

59

11

48

34

14

42

18

28

Consigliere di
Corte di Cassazione

356

94

262

168

94

260

26

26

Magistrato di
Tribunale destinato
alla Corte
di Cassazione

67

15

52

30

22

52

22

22

Giudice ausiliario
di Cassazione

50

37

13

11

2

13

74

74

Tuttavia, la procedura concorsuale volta a colmare le scoperture è appena stata bandita dal Consiglio superiore della magistratura ed è presumibile – in ragione dei dati ricavabili dai precedenti e dalla necessità di verificare, anche tramite un’apposita commissione tecnica, le particolari attitudini dei candidati allo svolgimento delle funzioni di legittimità – che la stessa possa protrarsi per alcuni mesi. Di contro, l’esigenza di copertura dell’organico della Suprema Corte ha caratteri di urgenza, sia per il numero delle controversie pendenti (soprattutto presso la sezione tributaria), sia per il rallentamento nella loro trattazione determinato dalle norme emergenziali dettate per fronteggiare la pandemia da Covid-19. Si propone di seguito una norma volta a porre immediato rimedio alla grave scopertura d’organico della Suprema Corte (in particolare, nella sezione tributaria), attraverso una misura immediatamente idonea all’ingresso di magistrati – con peculiare attitudine già precedentemente vagliata e sperimentata – che abbiano svolto (o stiano svolgendo) funzioni di legittimità. La proposta normativa, analogamente a quanto operato in passato (cfr. l’articolo 5 decreto legislativo 23 gennaio 2006, n. 24), prevede la destinazione (su domanda) dei magistrati del Massimario alla copertura delle vacanze della Corte di cassazione, la cui pianta organica è stata recentemente aumentata; costituiscono requisiti per tale destinazione 1) il possesso di una effettiva anzianità di servizio di almeno 4 anni (ex articolo 194 O.G.); 2) lo svolgimento delle funzioni di legittimità in applicazione alle sezioni per almeno due anni (requisito che identifica, tra i vari magistrati, coloro che già abbiano acquisito o che, stanti le perduranti applicazioni, acquisiscano, nell’anno successivo all’entrata in vigore della norma, la peculiare attitudine all’esercizio delle predette funzioni). Proprio per far fronte al gravoso carico incombente sulla sezione tributaria si prevede che i magistrati del Massimario destinati alla copertura dei posti vacanti di consigliere della Corte di cassazione siano assegnati alla sezione tributaria per un periodo non inferiore a quattro anni.

(Copertura organico della Corte di cassazione)

1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il decreto o i decreti legislativi che disciplinano la copertura dell’organico della Corte di cassazione sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) prevedere che siano destinati alla copertura dei posti vacanti di consigliere della Corte di cassazione i magistrati addetti all’ufficio del massimario e del ruolo che avanzino domanda per il tramutamento e che siano in possesso del requisito prescritto dall’articolo 194 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 e che, entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto delegato, siano stati applicati per almeno due anni alle sezioni della Corte di cassazione per lo svolgimento delle funzioni di legittimità; b) disporre che i magistrati destinati alla copertura dei posti vacanti di consigliere della Corte di cassazione in base alle disposizioni di cui al punto precedente siano assegnati alla sezione tributaria per un periodo non inferiore a quattro anni.

    » ARTICOLATO

All’articolo 1 della legge 30 dicembre 2018, n. 145, dopo il comma 379 sono inseriti i seguenti: “379-bis. Il Consiglio superiore della magistratura destina alla copertura dei posti vacanti di consigliere della Corte di cassazione, nella pianta organica rideterminata dall’articolo 1, comma 379, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 e dal decreto del Ministro della giustizia del 17 aprile 2019, i magistrati addetti all’ufficio del massimario e del ruolo, previa domanda di tramutamento, che sono in possesso del requisito prescritto dall’articolo 194 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e che sono stati applicati per almeno due anni alle sezioni della Corte di cassazione per lo svolgimento delle funzioni di legittimità ai sensi del primo comma dell’articolo 1 del decreto-legge 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197, o che matureranno quest’ultimo requisito entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge. Il procedimento di copertura dei posti di cui al periodo precedente può essere iniziato con modalità d’urgenza dal Consiglio superiore della magistratura fin dal giorno stesso di pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale. 379-ter. I magistrati destinati alla copertura dei posti vacanti di consigliere della Corte di cassazione di cui all’articolo 379-bis sono assegnati alla sezione tributaria per un periodo non inferiore a quattro anni.”.

Nel sistema attuale, la Corte di cassazione, investita della funzione nomofilattica, interviene al termine del giudizio e, quindi, a distanza di molti anni dal sorgere del contenzioso su una determinata materia. Ciò, se, da un lato, svaluta la funzione nomofilattica cui si è accennato, dall’altro, non favorisce il sorgere di indirizzi giurisprudenziali coerenti ed univoci con conseguente svilimento dell’esigenza, oggi sempre più avvertita, della prevedibilità della decisione. Al contrario, una indicazione “nomofilattica” della Corte resa con tempestività, in poco tempo ed in concomitanza alle prime pronunzie della giurisprudenza di merito, può svolgere un ruolo deflattivo significativo, prevenendo la moltiplicazione dei conflitti e con essa la formazione di contrastanti orientamenti territoriali. L’istituto che si propone, sulla scorta, peraltro, di felici esperienze straniere (e segnatamente dell’ordinamento francese che conosce la saisine pour avis), denominato “rinvio pregiudiziale in cassazione”, consente al giudice, in presenza di una questione di diritto nuova, che evidenzi una seria difficoltà interpretativa e che appaia probabile che si verrà a porre in numerose controversie, di chiedere alla corte di legittimità l’enunciazione di un principio di diritto. Il primo requisito cui è legata la facoltà del giudice di merito è quello della “novità” della questione che si pone. In primo luogo, tale presupposto sarà sussistente tutte quelle volte in cui venga in rilievo l’interpretazione di un testo normativo di recente emanazione. Tuttavia, la “novità” deve essere intesa in modo più ampio, quale assenza di precedenti espressi dalla giurisprudenza di legittimità: in altre parole, lo strumento in esame potrà essere utilizzato anche con riferimento a normative meno recenti che, tuttavia, non siano state esaminate dal giudice della nomofilachia. La seconda condizione che legittima il giudice di merito a rimettere gli atti alla Corte di cassazione è individuata nella circostanza che si ponga una questione di puro diritto e di particolare importanza. Ancora, la questione che si pone al giudice del merito deve presentare “gravi difficoltà interpretative”: ciò può essere legato, ad esempio, all’oscurità del testo di legge ovvero alla esistenza di disposizioni contrastanti che regolano la medesima materia, ovvero ancora alle difficoltà di coordinamento della legge nazionale con disposizioni di fonte comunitaria o internazionale. Infine, il problema interpretativo, a fronte del quale è richiesto l’autorevole intervento della Corte di cassazione, dovrà essere idoneo a manifestarsi in una pluralità di controversie: in altre parole, la questione giuridica dovrà essere, per sua stessa natura, suscettibile di riproporsi negli stessi termini e di essere applicata a fattispecie identiche. In questo modo, la pronunzia della Corte potrà avere - come detto in concomitanza del sorgere di un determinato contenzioso - la portata di un autorevole precedente nel sistema di riferimento e non esaurirsi nella fattispecie singola definita. Posto che, in tal caso, non si tratta di un mezzo di impugnazione e che, dunque, non sussiste un “obbligo” per la Corte di rendere il principio di diritto richiesto, è previsto un “filtro” affidato al primo presidente della Corte di cassazione, il quale potrà, qualora appaiano insussistenti i presupposti di indicati, dichiarare inammissibile la richiesta e restituire gli atti al giudice remittente. Ciò consentirà, soprattutto nel primo periodo successivo all’introduzione nell’ordinamento dell’istituto in esame, di evitare che la Corte di cassazione sia gravata da un carico eccessivo e da remissioni non giustificate dalla novità e dalla complessità delle questioni da parte dei giudici di merito. Il principio di diritto espresso dalla Corte di cassazione è vincolante nel procedimento nell’ambito del quale è stata rimessa la questione e conserva tale effetto anche ove il giudizio si estingua in relazione al nuovo processo che venga instaurato con la riproposizione della domanda. La vincolatività del principio di diritto espresso è, infatti, conforme alla struttura dei rinvii pregiudiziali già conosciuti dall’ordinamento italiano. Ciò posto, è evidente l’obiettivo dell’istituto del rinvio pregiudiziale in Cassazione: permettere che la Cassazione affermi celermente, prevenendo un probabile contenzioso su una normativa nuova o sulla quale non si è ancora pronunziata la giurisprudenza di legittimità, una regola ermeneutica chiara, capace di fornire indirizzi per il futuro ai tribunali di merito. La finalità deflattiva è evidentemente apprezzabile, in particolare in presenza di un quadro giuridico nel quale numerosi istituti, nella materia civile, sono sottoposti a stress e richiedono rinnovate riflessioni o aggiustamenti. D’altra parte, l’istituto è anche coerente con il ruolo di jus dicere proprio del giudice di legittimità. In questo modo, infatti, la Corte di legittimità assolve compiutamente al proprio compito di sommo organo regolatore, proteso all’armonico sviluppo del diritto nell’ordinamento.

(Rinvio pregiudiziale in Cassazione)

1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il decreto o i decreti legislativi devono prevedere l’introduzione, anche in grado di appello, del rinvio pregiudiziale in Cassazione e sono adottati secondo i seguenti principi e criteri direttivi: a) il giudice di merito, quando deve decidere una questione di diritto sulla quale ha preventivamente provocato il contraddittorio tra le parti, possa sottoporre direttamente la questione alla Corte di cassazione per la risoluzione del quesito posto; b) l’esercizio del potere di cui al punto a) sia subordinato ai seguenti presupposti: 1) si tratti di una questione nuova, non ancora affrontata dalla Corte di cassazione; 2) sia una questione di puro diritto e di particolare importanza; 3) presenti gravi difficoltà interpretative; 4) sia suscettibile di porsi in numerose controversie; c) ricevuta l’ordinanza con la quale il giudice sottopone la questione, il primo presidente, entro novanta giorni, possa dichiarare inammissibile la richiesta qualora risultino insussistenti i presupposti di cui alla lettera precedente; d) nel caso in cui non provveda a dichiarare la inammissibilità, il primo presidente assegni la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice tabellarmente competente; e) la Corte di cassazione decida enunciando il principio di diritto in esito ad un procedimento da svolgersi in pubblica udienza; f) il rinvio pregiudiziale in cassazione sospenda il giudizio; g) il provvedimento con il quale la Cassazione decide sulla questione sia vincolante nel procedimento nell’ambito del quale è stata rimessa la questione e conservi tale effetto, ove il processo si estingua, anche nel nuovo processo che sia instaurato con la riproposizione della domanda.

    » ARTICOLATO

Nel regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1443, recante l’approvazione del codice di procedura civile, dopo l’articolo 362 è inserito il seguente: “362-bis. (Rinvio pregiudiziale) Fuori dei casi in cui procede in base agli articoli 394 e 400, il giudice di merito può disporre con ordinanza il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte per la risoluzione di una questione di diritto necessaria per la definizione anche parziale della controversia, quando ricorrono le condizioni di cui al secondo comma. Il rinvio può essere disposto dal giudice quando:
1) la questione di diritto sia nuova o comunque non sia stata già trattata in precedenza dalla Corte; 2) si tratti di una questione esclusivamente di diritto e di particolare rilevanza; 3) presenti particolari difficoltà interpretative; 4) si tratti di questione che, per l’oggetto o per la materia, sia suscettibile di presentarsi o si sia presentata in numerose controversie dinanzi ai giudici di merito. Il giudice, se ritiene di disporre il rinvio pregiudiziale, assegna alle parti un termine non superiore a quaranta giorni per il deposito di memorie contenenti osservazioni sulla questione di diritto. Con l’ordinanza che formula la questione dispone altresì la sospensione del processo fino alla decisione della Corte. Il primo presidente, ricevuta l’ordinanza di rinvio pregiudiziale, con proprio decreto la dichiara inammissibile quando mancano una o più delle condizioni di cui al secondo comma. Se non dichiara l’inammissibilità, il primo presidente dispone la trattazione del rinvio pregiudiziale dinanzi alla sezione semplice o, in caso di questione di particolare importanza, alle sezioni unite, per l’enunciazione del principio di diritto. La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia in pubblica udienza. Il provvedimento con il quale la Corte definisce la questione di diritto è vincolante per il giudice nel procedimento nel cui ambito è stato disposto il rinvio. Il provvedimento conserva il suo effetto vincolante anche nel processo che sia instaurato con la riproposizione della domanda.”.

   5.1 Articolo 37

(Difetto di giurisdizione)

L’articolo 37 del codice di procedura civile ha assunto, per effetto degli interventi della Corte regolatrice della giurisdizione, un significato nuovo, improntato ai principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo. Da un lato, la possibilità di sollevare l’eccezione di difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo è stata interpretata dalle sezioni unite nel senso che il giudice può rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, con la conseguenza che, nei giudizi di impugnazione, il difetto di giurisdizione è rilevabile se dedotto con specifico motivo di gravame avverso il capo della pronuncia che, anche in modo implicito, ha statuito sulla giurisdizione. Dall’altro, il diritto vivente esclude che l’attore che abbia incardinato la causa dinanzi al giudice ordinario e sia rimasto soccombente nel merito, possa esercitare uno ius poenitendi sulla giurisdizione, sollevando con l’impugnazione l’auto-eccezione di difetto di giurisdizione. Si tratta di intervenire per adeguare la lettera della disposizione del codice alla sua reale portata, tenendo conto della declinazione normativa che il difetto di giurisdizione ha ricevuto nel codice del processo amministrativo e nel codice di giustizia contabile. L’operazione di adeguamento è funzionale al rafforzamento della certezza del diritto e alla definizione della controversia in tempi più solleciti: la riscrittura della disposizione lascia aperta la discussione sulla giurisdizione quando vi sia un’eccezione in tal senso proposta con l’appello principale o con quella incidentale, ma evita che si riapra il dibattito sulla relativa questione quando, dopo due gradi di giudizio, l’eccezione sia sollevata per la prima volta in sede di legittimità e che la questione stessa sia mantenuta viva ad iniziativa di chi ha incardinato la domanda dinanzi a quel giudice, rimanendo soccombente. In sostanza, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti dei giudici speciali è rilevabile, dalle parti e dal giudice, solo nel processo di primo grado e, solo dalle parti, con l’appello principale o incidentale, occorrendo con un motivo specifico; in ogni caso, valendo il principio di autoresponsabilità, l’attore non ha il potere di sollevare, con l’atto di appello, il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto.

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